Sant’Andrea Frius: la presenza romana e la tavola di Esterzili: prima parte.di Aldo Casu
Il Censimento Archeologico, realizzato tra il 2002 e il 2003 e pubblicato nel 2006(1), anche se la ricerca non ha interessato tutto il territorio comunale ma solo una parte di esso, ha registrato l’esistenza in esso di ben 35 siti archeologici (vedi Carta Archeologica) di cui 18 inediti.La sua pubblicazione, approntata in fretta e furia in periodo preelettorale, oltre a contenere la descrizione di soltanto una minima parte della grande quantità di materiale raccolto, ha una forma troppo tecnica che la rende poco interessante per i non addetti ai lavori e, pertanto, necessita di ulteriori approfondimenti e considerazioni.Nella “Relazione sui lavori effettuati nel periodo 2/9 – 2/10 del 2002”, presentata al Comune il 17.10.2002, R. Relli, incaricata del censimento e curatrice della sua pubblicazione, tra l’altro ha scritto: “… Gran parte dei siti presenta una frequentazione ininterrotta dall’epoca nuragica a quella tardo romana e altomedievale …”.Se consideriamo i 26 siti con tracce di età romana (vedi elenco) e dalla Carta Archeologica ne estrapoliamo quelli di età “tardo punica – romana repubblicana”, quelli di età “ romana imperiale” e quelli di età “tardo romana – altomedievale” (vedi rispettive carte), dal variare del numero dei siti riferibili ai diversi periodi storici, appare evidente quanto la presenza romana in questo territorio sia stata movimentata.Dagli 8 insediamenti dell’età “tardo punica – romana repubblicana” si passa, infatti, ai 19 di età “romana imperiale” per poi tornare agli 8 insediamenti di età “tardo romana – altomedievale” e, se il primo cambiamento è avvenuto a causa della più aggressiva politica coloniale di Roma in epoca imperiale, l’ultimo si è verificato in seguito agli eventi che si sono verificati nella situazione locale.Lo stesso quadro storico si ottiene analizzando la datazione dei siti anche se questa, in molti casi, ha un’approssimazione di 2/3 secoli ed è stata fatta nella totale mancanza di dati stratigrafici, con la conseguenza che, dal censimento, non si ricava alcuna informazione sulla possibile diversa tipologia degli insediamenti stessi.È logico pensare che gli insediamenti romani non fossero tutti uguali e che si distinguessero in “colonici” e “militari”; per conoscere meglio questa realtà è fondamentale la toponomastica in cui, grazie alla lunga presenza romana in questo territorio e alla continuità del suo popolamento, si è conservata notizia di fatti e di eventi storici tanto inediti quanto illuminanti.Poco distante dall’attuale abitato in direzione di Cagliari, per esempio, una località è nota col nome “tùpa de sa mallòra ” (lett. = la siepe della vitella)(vedi Localizzazione dei Toponimi, di seguito LT, sito 41) che è una etimologia popolare del latino “topia meliora“ (lett. = i campi/fattoria migliori) e, infatti, i terreni di quell’area sono i meno pietrosi e i più fertili di tutta la parte occidentale dell’attuale territorio comunale.Il termine “tùpa”, sempre come alterazione popolare di “topia”,si ritrova anche in diversi altri toponimi quali: “tùpellòcasa ” (vedi LT, sito 42) in territorio di Senorbì, poco oltre il rio Cìrras, a NO dell’attuale abitato e “tùpezzónia“, sito non censito (vedi LT, sito 40) all’estremo est di questo territorio comunale.Il secondo termine che compone il primo toponimo, “lòcas“ (attraverso quelle alterazioni formali e fonetiche illustrate nell’articolo sull’analisi linguistica della parlata locale pubblicato il 4 gen. 2013) è riconducibile al termine “lucana” e, di conseguenza, il significato etimologico del toponimo è “topia lucana”.Il secondo termine che compone il secondo toponimo, “zónia”, invece (sempre per i metaplasmi di cui sopra) è riconducibile al termine “ausonia” e il significato del toponimo è, pertanto, “topia ausonia”.
Da questi due toponimi si apprende che in questo territorio sono esistite diverse “topia”, dei campi, dei giardini, delle fattorie autosufficienti, cioè, dove lavoravano genti non sarde per conto di famiglie latifondiste che, com’è storicamente risaputo, risiedevano a Roma.I Lucani e gli Ausoni non erano i soli alloctoni che lavoravano nelle topia di quest’area; vi erano anche i Gelantini (originari di Gela?) nel sito 13 dove le tracce sono state datate dal IV/III sec. a.C. al VI/VII d.C. (Vedi elenco).Come in questo toponimo, il termine topia, col tempo, è andato perso anche in altri: in Meiràna per esempio (vedi C.A. sito 12 ed elenco) probabilmente “topia meridiana”, oppure in Sa tèlla stampàda (vedi C.A. sito 19 ed elenco).Altri toponimi come “Praùmusu” (dal latino “planus humus” ) e “trigónia” (dal latino “triticum” ) (vedi LT risp. siti 19 e 82) e il gran numero di blocchi di pietra squadrati e/o con tracce di“axrìdda” (argilla mista a calce) che si incontrano un po’ in tutto il territorio, fanno pensare che letopia fossero molte di più, anche se non bisogna dimenticare che “… fino a tutto il II sec. a.C. non si ebbe la possibilità di estendere la cerealicoltura e fino ad allora ed oltre, anche la Trexenta (e, quindi anche quest’area, n.d.a.) ne rimase esclusa …)(2) .La datazione degli insediamenti di età romana repubblicana, però, non deve trarre in inganno perché il loro quadro (vedi relativa tavola) è in perfetta coerenza con il decreto del 111 a.C. del proconsole M. Cecilio Metello che “… testimonia la rinuncia dei Romani a conquistare i territori nuragici; e con esso vengono stabiliti i confini tra le tribù nuragiche dei Galillensi e dei Patulcensi Campani …” (3). Il proconsole Metello giunse nell’isola nel 115 a.C. con al suo seguito “agricoltori e colonizzatori italici”(4), che si aggiunsero alle 300 famiglie che, dopo la soluzione della seconda guerra punica, furono spediti nell’isola dall’odierna Pozzuoli(5), in quel flusso migratorio che nel II e nel I sec. a.C., a causa delle guerre civili, coinvolse anche piccoli proprietari, coloni e affittuari(6) prima della costituzione del latifondo imperiale(7). I colonizzatori italici, almeno in quest’area, si stabilirono in prossimità dei nuraghi più importanti dove cominciarono a coltivare dei piccoli appezzamenti di terreno per l’uso dei quali, come suggerisce il significato etimologico di alcuni toponimi, pagavano una sorta di affitto ai Nuragici. Nel toponimo “Brùncu s’ollàstu” (cedi CA, sito 1), per esempio, il secondo termine, che significa letteralmente “olivastro”, in realtà si è conservata la radice del verbo sardo “òlli” (= volere) che si è fusa col termine altrettanto sardo “àttru” (= altro) per cui il suo significato etimologico è “il punto alto (dove risiede colui che) vuole (sempre) altro” e, cioè, in breve, “la sede dell’esoso”.La radice del verbo “òlli” si è conservata anche nel toponimo “sèdda s’olloni” (vedi LT sito n. c. 53) che, per il suffisso accrescitivo “oni”, che suggerisce “esagerazione”, e ha il significato di “là dove sta colui che vuole (in modo esagerato)”. Il significato di questi toponimi fa pensare che inizialmente, in età repubblicana, la presenza romana in quest’area non fosse per nulla invasiva ma tendesse, come lascia intendere il già citato decreto del 111, a una convivenza “pacifica” tra coloni non sardi e Nuragici.Non credo, pertanto, che sia corretta l’affermazione della Bonello Lai che “… il motivo delle ostilità (tra Galillenses e Patulcenses, n.d.a.) può essere ricercata proprio in quell’antica consuetudine supposta dal Motzo, che spingeva questa popolazione (i Galillenses, n.d.a.) a portare il loro bestiame, in transumanza, a pascolare là dove i rigori del clima sono meno sensibili …”(8).
Infatti se, come ormai quasi tutti gli studiosi concordano, la sede dei Galillenses era l’odierno Gerrei, non ha senso parlare di una loro transumanza all’interno de loro stesso territorio visto e considerato che la parte orientale dell’agro di questo paese ne fa pienamente parte anche dal punto di vista geologico.A portare il loro bestiame a svernare nella parte orientale di questo territorio, e probabilmente non solo, erano, invece, le popolazioni che vivevano nell’interno dell’isola, come testimoniato dai toponimi “Sèdd’’e s’azzarésu” (= sede dell’azzarese) e “còtti de i Bràbarixìnusu ” (= corte dei Barbaricini) (vedi LT risp. siti 62 e 63, entrambi non censiti).Questa usanza è stata praticata fino a tempi recenti: lo conferma il fatto che molte delle famiglie che abitano nell’odierno abitato (che è stato rifondato solo nel 1699) sono originarie proprio dei paesi della Barbagia da dove vi si sono trasferiti (o direttamente o passando prima da altri paesi) proprio perché conoscevano bene, da sempre, questo territorio.Dall’antica consuetudine della transumanza dei Barbaricini era però esclusa la parte occidentale dell’attuale territorio comunale, quella in cui è esistito il “sistema nuragico” che ne controllava tutte le vie di accesso, naturali e non.(9)A questa enclave, sia i Galillenses che i Barbaricini, potevano sicuramente accedere, pacificamente,per partecipare ai culti che vi si praticavano e per scambiare i loro prodotti con altri che essi non avevano.Le cose cambiarono quando Roma cominciò a incamerare come “ager pubblicus populi romani” le terre che furono dei Cartaginesi e, quindi, anche questa enclave dove esisteva sì un centro religioso e commerciale e diversi altri insediamenti dove i Punici convivevano pacificamente con i Nuragici (come implicitamente suggerito dalla “doppia matrice circolare”(10) ritrovata nei pressi del suddetto “Brùncu s’ollàstu“ ) ma era e restava una “terra nuragica” che, per di più, per i Nuragici aveva una grandissima e atavica importanza religiosa che faceva sì che fosse considerata una sorta di “zona franca”.Il suo incameramento come “proprietà del popolo romano”, oltre ad essere una violazione del decreto del 111 a.C. del proconsole Metello, fu anche, e forse soprattutto, un grande oltraggio per i Nuragici che si videro espropriati della loro importantissima area sacra e questo non poteva essere accettato.Già ai primi tentativi dei Nuragici di riprendere possesso delle terre loro espropriate, i Romani reagirono con un’offensiva militare di espansione verso est di cui è rimasta traccia nei toponimi “Padènti francàu”, “Abriàxiusu”, “Gènna scrarìa”, “Mìtz’’e crabìttu” e altri ancora.
Nel mio articolo intitolato “Toponomastica locale”, pubblicato il 13 gennaio 2013, tra l’altro, ho riportato il significato etimologico del toponimo “Còdrofùmi”(vedi LT sito 50) come “gurdi flumen”, ovvero “il fiume dello sciocco”, perché l’abitante de “Su nuràxi” (vedi CA sito 23) fu sconfitto dai Romani grazie a uno stratagemma.La vittoria dei Romani su questo nuragico permise loro di “carpire” l’area detta “Mitz’’e crabìttu” (vedi LT sito 27), di “schiarire”(11) l’odierna “Gènna scrarìa” (vedi LT sito 28) e di piazzare un loro primo avamposto militare in “Mitza Pìntus” (vedi CA sito 27).Le tracce rinvenute in questo sito (vedi elenco) sono state datate II sec. a.C. - I sec. d.C. e la morfologia del territorio in cui si trova fa escludere si trattasse di un insediamento colonico e poiché la presenza romana in “Su nuràxi” è datata dalla fine dell’epoca punica (vedi elenco), si può presumere che i fatti sopraesposti si siano verificati intorno al II secolo a.C..Più a sud di “Mitz’’e crabìttu”, sempre sulla riva sinistra del rio Miorì, si trova la zona detta “Abriàxiusu” (vedi LT sito 94) e questo termine, per la protesi della A, la sincope della G e della R e l’epentesi della G (poi trasformatasi in X davanti al nesso vocalico IU) è riconducibile al termine “brigare” e con chi i Romani abbiano dovuto “guerreggiare” in quest’area, ci viene svelato da un toponimo di poco a est di essa e, cioè, “Moìzzusu” (vedi LT sito 66) che è linguisticamente riconducibile al verbo latino “morigere” e ha, di conseguenza, il significato etimologico di “coloro che dobbiamo sopportare” in cui si può cogliere un certo riferimento implicito al ripetersi degli scontri armati.A sud di “Abriàxiusu” abbiamo i toponimi “Bàch’’e procèddusu” e “Coxìnasa” (vedi LT risp. siti 68 e 67) di cui ho già scritto nell’articolo “Il sistema nuragico di Frea” pubblicato il 16 novembre 2012.
“Coxìnasa” è sicuramente un toponimo più recente in quanto fa riferimento a una sollevazione dei coloni che, secondo il racconto popolare, pose fine alle incursioni dei montanari mentre fu probabilmente sempre intorno al II sec. a.C. che il “patens-tis” a est di essa fu “francatus” reso, cioè, “libero e sicuro” come testimoniato dall’attuale toponimo “Padènti francàu” (vedi LT sito 24) che confina, a est, col “Padènti scurósu ” (vedi LT sito 26) in cui il termine “scurósu” ha il significato di “obscurus” e, cioè, “non conosciuto” e “non sicuro”.Ma da chi i Romani “affrancarono” il primo “Patens” suddetto? La risposta si trova nel significato del toponimo “Is cabonìscusu” (vedi LT sito 59) che è un’etimologia popolare non di “capponi” ma di “caponi” che, per il suffisso “ìscusu” sta ad indicare “delle persone piccole, ostinate e poco intelligenti” e, cioè, “i Nuragici delle montagne ” che i Romani chiamano “adoratori di menhirs” nel toponimo “is pillònadòris” (vedi LT sito 6) e “gente arida, dura di cuore e barbara” nel toponimo “Casàrgius” (vedi LT sito 87).(12)In questo territorio, quindi, alcuni gruppi stanziavano stabilmente e altri, provenienti dall’interno dell’isola, soltanto stagionalmente(13) ma non si hanno elementi certi per poter stabilire quali di questi gruppi compisse quelle “calate“ di cui è rimasta notizia nel toponimo “Gènn’’e scàbasa” (vedi LT sito 64) in cui “gènna” significa letteralmente “porta/luogo di passaggio” e “scàbasa” non ha nulla ha che vedere con le “scale” ma è una alterazione di “is cabà(da)sa” e significa “calate”.A nord del “C.ru Nuràx’’i Agusu” un altro toponimo ha grossomodo lo stesso significato: “Plànu intruxiònisi” (vedi LT sito 34), infatti, è un’alterazione di “Plànum intrusiònis” (= piano delle intrusioni) e, di poco a est dei resti del nuraghe polilobato, un altro toponimo può essere considerato un sinonimo del già citato “Abriàxiusu”: “Imbròccus” (vedi LT sito 33), infatti, in quanto derivato dal verbo “imbroccare”, significa “luogo di scontri”.In questo quadro chiaramente movimentato, si inserisce perfettamente la presenza militare romana e la dislocazione, di poco a sud dell’attuale abitato, di una “cohorte”come testimoniato dal toponimo “Su càsu cóttu” (vedi LT sito 21 n. c.) che è un’etimologia popolare del latino “casa cohortis” e ha il significato di “alloggio/sede della coorte”.Questa etimologia è sostenuta da quella di un altro toponimo in cui è rimasta una possibile traccia della presenza in quest’area di quel “Julius sex”che nel I sec. d.C. “… Praefectus cohortis I Corsorum et civitatum (sic) Barbarie, comandante, cioè, di uno dei reparti di fanteria operanti nell’isola e, contemporaneamente, incaricato di fare da trait d’union tra l’autorità centrale e le popolazioni della Barbaria…”.(14)Il secondo termine de “Is corrìas de Giuisèi” (vedi LT sito 23) potrebbe essere, infatti, una contrazione del nome del “Praefectus civitatis” e “Tribunum militum” che “excurrebat” (imperfetto di “excurrere” = “procedeva, andava senza impedimento”) tra questo paese e Senorbì.
La presenza di una cohorte in quest’area è verosimile se si considera che le sedi dei reparti “… secondo il Leveau … si trovavano nella zona più vicina al confine delle popolazioni indigene (…) nelle zone più calde, in posizioni strategiche e tali da permettere un facile controllo dei movimenti delle popolazioni indigene …”.(15)Questa strategia pare si sia seguita, in quest’area, sin dai primissimi insediamenti romani(vedi elenco) che avvennero sempre (come già osservato) in prossimità dei siti nuragici più importanti per poi, in epoca imperiale, espandersi fino a formare una vera e propria “linea di postazioni” molto avanzata a est, nella parte montuosa di questo territorio.Nei siti “Brùncu s’ollàstu” , “Gelantini” , “Nuràx’’i Agusu”, “Brùncu Crabiòla”e “Su nuràxi”, infatti, la presenza romana è databile dal III, se non dal IV sec. a.C. (vedi CA siti 1, 13, 16, 22 e 23).L’insediamento di “Mìtza Pìntus” (vedi CA sito 7) risale, invece, al II sec. a.C. come molto probabilmente anche i siti non censiti di “Bàch’’e Bascùri” (vedi LT sito 83) e quello di poco a est del “Brùncu crabiòla”.All’età imperiale risalgono, invece, gli insediamenti di “Monte Uda”, “Su Crabìli”, “Abriàxius”, “Casàssida”, “Caróng’’i ùcca” (sito non censito di poco a sud est di Casàssida), “Mesòn’’i Antoni Farci” e “Mesòni Ciuérgiu” (vedi CA sito 32 ed elenco) e è proprio il significato etimologico di quest’ultimo sito a non lasciar dubbi sulla tipologia di questi insediamenti.Il primo termine che lo compone, infatti, non ha nulla a che vedere con l’omofono termine sardo con cui si indica “l’ovile/stazzo”, ma è una alterazione del termine latino “mansio-nis”; il secondo termine, a sua volta, non deriva da “querceus” (= quercia) come potrebbe far pensare il boschetto di querce, appunto, che c’è nell’area, ma deriva dal verbo latino “coërcere” per cui il significato etimologico, di questo che è una etimologia popolare, è “mansione coercitiva”, una “postazione militare”, cioè, che aveva il compito di “contrastare e reprimere” la tendenza della gente dellemontagne a “calare” verso la parte occidentale di questo territorio comunale, più ricca d’acqua, abitata da agricoltori alloctoni e dove sorgeva il notevole centro romano di cui ho scritto nell’articolo “La città romana … cancellata” pubblicato il 02.03.2013.Vista la loro ubicazione in siti particolarmente strategici, non vi sono dubbi che anche gli insediamenti nei siti di “Masòn’’i Antoni Fàrci”(vedi CA sito 31 ed elenco) e di “Casàssida” (vedi CA sito 34 ed elenco) e quello non censito di “Caróng’’i ùcca” (di poco a sud est di Casàssida), tutti datati I – II d.C., avessero la stessa funzione.La “linea” formata da questi insediamenti (vedi Tavola dei siti di età imperiale, lettera F) conferma quanto ipotizzato dal Tramelli sulla presenza di “mansiones” in quest’area, dalle quali partiva l’energica punizione romana contro le rudi e battagliere popolazioni “… sempre pronte all’assalto e alla rapina dei fertili terreni coltivati dai Campani …”.(16)Una possibile testimonianza degli interventi armati che i Romani fecero partendo da queste “mansiones” si può trovare nel toponimo “Sa crannàzerìa” (vedi LT sito 30) che significa letteralmente “la carneficina”.Poco a sud di questa località si trova la già citata “Tùpezzónia” (vedi LT sito 40) che, col suo significato di “topia ausonia”, è forse l’unico esplicito riferimento alla presenza in quest’area di genti originarie dell’odierna Campania; quella degli Ausoni, infatti, era una della popolazioni italiche più antiche, abitava le terre del basso Lazio e della Campania fino al fiume Sele e combattè a fianco dei Sanniti contro i Romani prima di essere sconfitta e “romanizzata”.Purtroppo sulla località di “Tupezzónia”al momento non si hanno dati di alcun genere e una sua esplorazione potrebbe fornire elementi utili a confermare o meno quanto qui esposto.Una ricerca allargata a tutta l’area orientale e sud orientale di questo territorio comunale potrebbe, inoltre, essere di grandissimo aiuto: 1. per accertare la presenza di eventuali tracce di altri insediamenti o romani o nuragici in località “Còtt’’i Adóngiu” (vedi LT sito 86); 2. per verificare se il toponimo “Casàssida” (= casa recintata) invece che all’ovile presso il quale sono state rinvenute le tracce d’epoca romana, si riferisca al sito, poco distante in direzione est, noto col nome de “is pedràzzusu” (= le pietracce), luogo dove, si dice, neanche le capre si avventurano perché talmente impervio per la grande dispersione di pietrame, possibile resto di una qualche struttura abitativa;3. per trovare conferma o meno a quanto suggerito dal toponimo “Sèrra piricàu” (= “luogo delimitato preso un po’ per volta”, dal verbo latino “piluccare”) che indica un’area nota anche col nome di “ciuergìli”(riconducibile al verbo latino “coërcere”)(vedi LT siti 46 e 72) e, cioè, che i Romani abbiano fatto uso di condannati ai lavori forzati per spietrare una grande estensione di terreno;(17)4. per documentare eventuali tracce della presenza di gruppi barbaricini nei già citati siti di “Sèdd’’e s’azzarésu” (LT sito 62), di “Còtt’’e i Brabarixìnusu” (LT sito 63) e anche in “Brùncu marracònisi” (LT sito61) ma soprattutto in località “Pèdra làda” che, con molta probabilità è l’area detta “Petra lata” dove, ancora nel Medioevo, i Barbaricini erano soliti pascolare le loro greggi.(18) La località “Petra lata” viene indicata accanto al “Saltus flumini de Orlo” e non è da escludere che “Orlo” sia da mettere in relazione con l’ “Oeliem”, citato da M. T. Varrone nel “ De re rustica”(19), in cui M. Bonello Lai riconosce i più recenti toponimi di “Parti Olla” e “Dolia”(20), proprio perché la suddetta “Pèdra làda” si trova al confine tra il territorio di questo paese e quello di Dolianova.Come ulteriore prova della lunga frequentazione di questo territorio da parte dei Barbaricini c’è il fatto (già precedentemente ricordato) che molte delle famiglie attualmente residenti in questo paese (rifondato nel 1699) sono originarie, direttamente o indirettamente, di centri della Barbagia.
Note:1) R. Relli (a cura di): “Sant’Andrea Frius – dall’Eneolitico alla Rifondazione”, N.G.O. Ortacesus 2006;2) Carta Raspi: “Storia della Sardegna”, Nursia, Milano 1974, pag. 225;3) Ibidem: pag. 234;4) A.A.V.V.: “La tavola di Esterzili” – Convegno di studi, Esterzili 13 giu. 1992, Gallizzi, Sassari 1993,Cadoni: “La tabula bronzea di Esterzili”, pag. 83;5) Ibidem: M. Bonello Lai: “Sulla localizzazione delle sedi dei Galillenses e dei Patulcenses Campani”, pag. 56;6) Ibidem: S. Schipani: “La repressione dela vis nella sentenza di L. Helvius Agrippa”, pag. 151;7) Ibidem: A. Mastino: “Tabularium principis e Tabularia provincialis”, pag. 106;8) Ibidem: M. Bonello Lai, opera citata, pag. 56;9) A. Casu: “Il sistema nuragico di Frea…”, articolo pubblicato il 16 novembre 2012;10) Vedi l’articolo “Una pintadera… diversa”, pubblicato il 3 febbraio 2013;11) Nel senso di “rendere conosciuta e sicura”, l’opposto di “obscura”;12) Dal “Consegnamento feudale della Trexenta” del 1780 si apprende che di questa regione facevano parte tre territori demaniali: “Saltus agrestis”, la parte orientale dell’attuale territorio di questo paese, “Planu sanguni” e “Casargius”, un esteso territorio che da Planu sanguni arrivava fino a Siurgus e che oggi è quasi totalmente compreso nel territorio di San Basiio che, però, nulla aveva a che fare con la zona omonima che si trova all’estremo est di questo territorio comunale;13) Un anziano deceduto di recente conosceva nei minimi particolari l’itinerario che i Barbaricini seguivano da sempre per venire a svernare, con le loro greggi, in questo territorio;14) A.A.V.V., M. Bonello Lai: “Il territorio dei populi e delle civitates indigene in Sardegna”, pag. 166;15) Ibidem: pagg. 167 e 168;16) A. Taramelli: “Scavi e scoperte nell’antichità 1920 – 1939” alla voce “Sant’Andrea Frius – tomba di età romana scoperta nell’abitato”;17) Sulla scoscesa riva sinistra del rio Flùmini Basìli, proprio nelle vicinanze di quest’area, si può osservare una cascata di pietre di ogni tipo e grandezza di cui gli anziani dicevano che “non sono nate lì”lasciando intendere che vi sono state riversate dall’alto;18) A.A.V.V.: opera citata, M. Bonello Lai, pag. 59, nota 55;19) Ibidem: M. Bonello Lai, pag. 57;20) Ibidem: M. Bonello Lai, pag. 49;