Domani sera invece ci sarà un'altra ricorrenza, ben più triste, così vicina a questa festosa, ma così lontana perché non prevede brindisi, sorrisi, pacche sulle spalle, ricordi di vecchi interventi e saluti ai pensionati che ci vengono a trovare.
Domani sarà un anno da quando Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Giuseppe De Masi, Rosario Rodinò e Rocco Marzo, operai della linea 5 di ricottura e decapaggio dello stabilimento Thyssen Krupp di Torino sono morti. Santa Barbara è invocata contro la morte improvvisa da fuoco, ma in quell'impianto, prossimo al disarmo, mentre stavano facendo il “mezzino” (12 ore, pari ad un turno e mezzo) per 800 euro al mese, la nostra patrona non c’era. Forse quei poveretti non lo sapevano, che Santa Barbara la potevano invocare pure loro anche se non erano pompieri; ma avrebbe potuto fare molto poco con gli estintori vuoti, gli idranti senza pressione, le squadre di pompieri sempre più poche e ridotte di organico. Avrebbe pianto anche lei con loro, la pelle che si attaccava ai vestiti per l’olio rovente addosso, il dolore che poco a poco si affievoliva perché le terminazioni nervose se ne andavano per la temperatura, gli occhi che si spalancavano pensando a tutto quello che stavano lasciando… “non voglio morire, ho due figli piccoli” lo dicevano ai medici… alla Befana non ce n’era più nessuno vivo.
Per il pompiere è la cosa peggiore, quando qualcuno muore perché non è riuscito a spegnere il fuoco in tempo; non ha adempiuto alla sua missione, “sauver ou périr”. Erano in tanti, al Duomo di Torino, schierati ai lati del portale a fare da picchetto alle bare di quei ragazzi, qualcuno piangeva, qualcuno semplicemente pensava, tutti con in fondo al cuore il profondo dolore per non avercela fatta. Non questa volta.