Peccato che ogni 13 dicembre mi venga in mente pure quella canzoncina che quando ero bambina, alle elementari, le maestre ci facevano danzare, scambiandoci con le nostre compagne in un intreccio di mani che non ho mai imparato, ragion per cui sbagliavo sentendomi una bambina inadeguata!
Ma erano i tempi in cui, come dice la mia amata Clarissa Pinkola Estés (Donne che corrono coi lupi)
"... le ragazze e le donne strettamente fasciate, strettamente imbavagliate erano dette "brave" e quelle altre femmine che cercavano di sfilarsi per un attimo o due il collare erano marchiate come "cattive". Così, come tante donne prima e dopo di me, ho vissuto la mia vita come una creatura travestita. Come amiche e parenti prima di me, mi sono pavoneggiata barcollando sui tacchi a spillo, e ho indossato l'abito buono e il cappello per andare in chiesa. Ma la mia favolosa coda spesso spuntava sotto l'orlo, e le orecchie si contraevano tanto da farmi ricadere il cappello sugli occhi".
Aggiungo di mio che tutta l'istruzione che ci veniva data dalle elementari alle superiori era in funzione di fare delle donne dei bravi animali casalinghi, vergini fino alla notte in cui, con l'anello al dito, il nostro sposo (per sempre, ahi!) esigeva il tributo del sangue, e doveva essere "quella notte", guai a procrastinare! Per fortuna che la mia generazione ha buttato tutto alle ortiche, così, almeno per me, il martirio delle danze, dell'economia domestica (materia solo per le femmine e di cui ho sempre evitato di fare i compiti), del grembiule nero, rigoroso per nascondere seno e braccia, è finito a 17 anni.
Per concludere: appaghiamo la gola e affanculo i ricordi di un'infanzia torturata.