Santa Lucia a Palermo, tra devozione e golosità

Creato il 10 dicembre 2013 da Makinsud

Secondo il calendario gregoriano il 13 dicembre è il giorno dedicato alla commemorazione di Santa Lucia, patrona della città di Siracusa, protettrice della vista e della salute degli occhi. Ciò deriva direttamente dalla leggenda agiografica secondo cui Lucia, credente e assai fedele alla Parola di Dio, consapevole di avere dei bellissimi occhi, alla lettura del versetto del Vangelo di Matteo secondo cui “se i tuoi occhi suscitano peccato, strappali e buttali via“, si strappò gli occhi e li mandò al proprio fidanzato. Di notte, Gesù venne a trovare la giovane e le restituì la vista donandole occhi ancor più belli dei precedenti. Morta martirizzata a Siracusa nel 304, la città siciliana le dedica ogni anno commemorazioni religiose assai sentite e di antica tradizione.

Il culto legato a questa Santa non si limita solo alla città siracusana. Altri comuni dell’Isola venerano S. Lucia. Tra questi, è d’obbligo citare il capoluogo siciliano, Palermo, il cui culto è un mix tra la venerazione religiosa e l’aspetto prettamente cibario.  Secondo una tradizione, infatti, la Santa liberò la città dalla morsa della fame a seguito di una carestia facendo arrivare al porto un bastimento carico di grano. I palermitani non ebbero il tempo di lavorarlo per ottenere la farina vista la grande fame cui erano soggetti; così, per saziarsi si limitarono a bollire il grano e a mangiare questo cereale nella modalità più semplice. Da allora ogni 13 dicembre i palermitani ricordano l’avvenimento preparando la cuccìa che – passando di secolo in secolo – si è raffinata ed è diventata uno squisito dessert: grano bollito (preventivamente ammollato per circa 3 giorni), ricotta (aromatizzata alla cannella), canditi e scagliette di cioccolato.

La parola cuccìa sembra derivare dal palermitano “cocciu”, chicco di grano. Di fatto, la preparazione – che oggi è un vero e proprio rituale nell’attesa dell’arrivo del 13 dicembre – ha un’origine contadina: una volta raccolto, il grano veniva bollito e mangiato sul posto. L’idea di unire al grano bollito la ricotta deriverebbe direttamente dall’area araba dove tutt’oggi sono comuni dolci con latte e grano.

Ma non è tutto. Come in molte feste, per scongiurare la sciagura e, soprattutto, la penuria di cibo il popolo dà sovente avvio a una vera e propria orgia alimentare che contrasta profondamente con il senso di mancanza verso cui con carità cristiana S.Lucia si mosse per la salvezza dei palermitani. Il 13 dicembre non vengono consumati farinacei (i panifici, infatti, sono chiusi); si preferisce mangiare legumi, verdure e, soprattutto, riso. Non è, però, una mossa salutistica o di privazione… La giornata si trasforma nella festa dell’arancina, di cui abbiamo parlato in un nostro precedente articolo. Dire che le friggitorie sono in fermento in quel preciso giorno dell’anno è riduttivo! L’arancina – insieme alla cuccìa – è infatti il simbolo del 13 dicembre.

Il menù della giornata, però, non si limita solo a queste due pietanze ma è ricco di altre portate. I palermitani preparano per tradizione anche le panelle di ceci e le crocchè (crocchette  fritte di patata). I più tradizionalisti consumano a pranzo il riso con gli sparaceddi (broccoletti) a minestra e a cena il grattò (versione palermitana della parola francese “gateau”) di patate cui vengono aggiungi formaggi e prosciutto, oppure, farciture di ragù.

Mera tradizione gastronomica, credenza popolare o religiosità? Non esiste una risposta univoca a questa domanda; di fatto, il 13 dicembre è un appuntamento cui il palermitano di ogni ceto difficilmente si sottrae.


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