Il 2 giugno è uscito Win Hands Down degli ARMORED SAINT per la Metal Blade. È carino e si lascia ascoltare. A me personalmente fa piacere che gli Armored Saint siano ancora dignitosamente in giro, visto che, da giovincello, ho letteralmente consumato il loro debutto, March of the Saint. La prima cosa che viene in mente ascoltando questo disco è, più o meno, ma perché cazzo gli Anthrax hanno dato un calcio nel culo a John Bush per riprendersi il ridicolo (sotto tutti gli aspetti) Belladonna? Boh.
Da ragazzino avevo la cassettina doppiata di Do or Die dei VIKING e devo dire che all’epoca mi piaceva un sacco. Erano uno dei tantissimi gruppi thrash americani della seconda metà degli anni ottanta e di certo erano ben lontani dall’essere tra i migliori anche tra i cloni dei cloni loro contemporanei, ma, oh, cazzo volete? A me piacevano. Ai tempi “d’oro” erano capitanati dai fratelli Eriksen, Ron e Bret, rispettivamente voce/chitarra ritmica e chitarra solista. Sapete qual’è la cosa divertente? Questi due non si chiamavano davvero Eriksen, ma avevano scelto questo cognome d’arte per millantare presunte origini scandinave da collegare al nome del gruppo. Volete sapere un’altra cosa divertente? Non erano nemmeno fratelli. Erano scelte di “marketing”, insomma. Roba da ridergli in faccia per tre ore e pisciargli addosso. Ron Daniel (questo è il suo vero cognome) ad un certo punto, mentre stavano registrando il secondo disco (Man of Straw, uscito nell’89) diventò un cristiano rinato, cambiò alcuni testi in corsa, perché secondo lui offendevano la morale salcazzo della sua setta o qualcosa del genere, e cominciò a rompere i coglioni, fino a quando non lo mandarono tutti a fare in culo e il gruppo si sciolse. Lo stesso Ron ha rifondato i Viking nel 2011, chiamando Mike Gonzalez dei Dark Angel al basso e un giovanotto che non so chi cazzo sia alla chitarra solista. Vabbè, per farla breve, il 4 marzo hanno tirato fuori No Child Left Behind. Devo dire che mi ha sorpreso, perché spacca abbastanza. Forse è un po’ troppo lungo, ma in linea di massima è godibilissimo. I testi saranno pieni di stronzate, ma basta non leggerli ed il gioco è fatto.
Quando ti trovi davanti ad un album uscito per l’attuale Nuclear Blast, sai già che le possibilità che sia un’immonda cacata di plastica per minorenni sono altissime. Il discorso inverso vale invece per l’ottima Nuclear War Now!, etichetta che in comune con la ben più famosa sopracitata ha solo la prima parte del nome. E’il caso di The Umburiable Dead, il terzo album degli ARES KINGDOM, uscito il 18 settembre. Nel gruppo ci sono due vecchie conoscenze degli amanti del putridume: Chuck Keller e Mike Miller, rispettivamente chitarra e batteria, entrambi ex Order From Chaos. The Umburiable Dead continua il percorso intrapreso dai due precedenti album, quindi thrash/death vecchia scuola senza pietà per niente e nessuno. Attenzione: qui, ripeto, si parla di thrash/death, quello vero, quindi se vi aspettate robaccia di plastica tipo l’ondata di gruppi svedesi di qualche anno fa, stile Carnal Forge e simili, potete continuare a seguire quella diarrea e stare lontani da questo disco. Le influenze degli Ares Kingdom sono evidenti: Dark Angel, vecchi Slayer e vecchissimi Morbid Angel sono le prime che mi vengono in mente. Zero pseudo-innovazione, zero plastica e niente cazzate: qui si fa sul serio. Se vi piace il genere, sborrerete come maiali.
Se dovessi citare una persona morta e risorta svariate volte nel corso della sua esistenza, farei sicuramente il nome Bobby Liebling, il cantante dei PENTAGRAM. Un’intera vita sregolata (per usare un eufemismo molto blando) a base di eccessi di ogni tipo e, soprattutto, droghe di tutti i generi. Però, cazzo, è ancora qui, unico membro fondatore del gruppo, più vivo che mai. Ed è miracolosamente arrivato a quasi sessantadue (62) anni, senza sapere nemmeno lui stesso come cazzo abbia fatto. Curious Volume è uscito il 28 agosto per la Peaceville ed è un buon disco. Sono sempre loro: doom sabbathiano a go-go, come sin dai loro esordi. E a me va benissimo così. Oltre a procurarvi questo album, se vi piace il genere che i Pentagram hanno contribuito a creare e di cui sono ancora padroni senza se e senza ma, consiglio anche di spararvi il documentario su Bobby uscito nel 2011 (se non ricordo male), Last Days Here. È tutto. (Il Messicano)