Sara Rattaro e l'empatia che non si compra al chilo

Creato il 27 settembre 2013 da Phoebe1976 @phoebe1976

In genere sono io che dispenso consigli letterari ad amici e conoscenti, dall'alto del mio essere una divoratrice onnivora di libri. E mi piace consigliare, specie se conosco bene il destinatario del consiglio, mi sembra di fare una specie di regalo.
Ma siccome non si smette mai di imparare, accetto anche consigli, specie se provengono da più parti e tessono lodi sperticate di autori che non ho mai letto.
Non sono così snob, in fondo, vero?
Ma forse dovrei.

Così ho iniziato a leggere “Non volare via” di Sara Rattaro.
Avevo voglia di leggere un libro che mi portasse via, una bella storia avvincente e, perchè no, toccante, qualcosa che potesse lasciare un segno. Un po' come mi è capitato con “Il senso dell'elefante” di Marco Missiroli, una piacevole scoperta totalmente casuale.
E così mi sono buttata nella lettura, ed in poco più di tre giorni l'ho letto.

La scrittura di Sara Rattaro mi ha subito conquistata e la storia non avrebbe potuto essere più intrigante. Cosa c'è di più empatico per il lettore della storia di una famiglia con un figlio disabile e di un rapporto genitori figli così intenso, quasi morboso, da trascendere la realtà? E se l'infedeltà coniugale ed il vero amore bussano alla porta, come non gettarsi tra le pagine con voracità?
Intrigante, vero?
Ma dopo poche pagine l'odore di bruciato ha preso il sopravvento: dove vuole andare a parare questo libro? Quando le carte sono già tutte in tavola, cosa può succedere d'altro? 

La storia è tutta qui, in un libricino piccolo piccolo che sembra voglia regalare al lettore una chiave di lettura diversa per la propria vita, ma che si scioglie in un happy end inutile, sconcio e possibile come lo sbarco dei cugini di ET nel mio giardino, proprio lì acccanto alla magnolia.
Un finale anche un tantino ipocrita, diciamoci la verità.

Ed eccomi qui, con il libro terminato, a chiedermi: perché?

Non che nei libri debba esserci una morale, un senso superiore ed aulico, né l'accettazione implicita del proprio stile di vita, ma un senso sì, lo pretendo.

Quale senso ha questo libro?

Che l'amore filiale vince tutto?
Che il dovere viene prima della felicità o che l'amore inteso come passione travolgente è un sentimento effimero ed egoista? Oppure che nella vita bisogna prendersi le proprie responsabilità ed accontentarsi di ciò che passa il convento?

Non so, questo libro non mi ha convinta.

Non che la Rattaro non sia brava, al contrario: siamo agli antipodi di Premoli & Co. La sua scrittura è limpida, invoglia alla lettura, ricca. Ma l'amore tra noi non è scoccato.
Arrendersi? Arrendersi così? No, non si può.

Ed allora ho letto un altro suo libro, che pare sia stato un caso letterario di un certo livello: "Un uso qualunque di te". Piccolo libricino, a dire il vero, ma con una copertina accattivante che non guasta mai.
Letto in un giorno, capito in un attimo, odiato fino allo spasmo.  Cercavo conferme? Le ho avute. Il libro naviga verso un chiaro porto d'arrivo che il lettore spera di aver sbagliato ad intravedere, e invece no. L'assurdo si concretizza e questo romanzo, seppur ben scritto, alla fine diventa il detonatore dell'insofferenza del lettore.
Sto esagerando?
Forse sì, ma io sono un po' come Vivian e da un libro io voglio di più, voglio la favola. Voglio innamorarmi dei personaggi, oppure odiarli, o anche tutt'è due. Voglio viverla, sentirmi partecipe degli eventi nel bene o nel male.
Nei libri di Sara Rattaro non c'ho trovato nulla se non un forzato richiamo all'empatia spiccia, quella del popolo televisivo che guarda My shocking story e scuote la testa con il senso di soddisfazione che il pensiero Non è toccato a me può dare.
Tra noi no, non è nato l'amore... 


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