Passa un giorno e la posizione di Landella si fa pubblica. Come le bollicine sullo spumante, che frizzano fino a salire nel naso, il verbo di Franco emerge su tutti i giornali. S’incazza, Landella. E spiega: “Mi sono avvicinato al corteo non per sbandierare vessilli politici ma per salutare il mio amico d’infanzia Lino Panunzio, con cui ho pianto sulla bara del padre Giovanni, costruttore, barbaramente ucciso. Mi sono avvicinato come semplice cittadino che, nella propria città, credo abbia maggior diritto di Tano Grasso di essere vicino alla propria gente. Ne ho diritto perché, a differenza di Tano Grasso che ieri è ripartito per la sua Sicilia, testimonio da anni, anche professionalmente, tutti i giorni il mio impegno per i commercianti di Foggia. Ne ho diritto perché 1.800 cittadini foggiani, il tributo più alto avuto da un candidato, mi hanno eletto a rappresentarli in Consiglio Comunale, e altri 5.600 cittadini di Foggia hanno creduto in me nel votarmi alle scorse elezioni regionali. Ne ho diritto perché io sono tra coloro che la malavita ha preso di mira, facendomi esplodere una bomba carta sull’uscio di casa in una notte di luglio del 2009″. Detto questo, non spirò, ma si autosospese dal consiglio comunale.
Dalla posizione di Landella, spietatamente, si deduce che il suo gesto – quello dell’avvicinarsi alla Carovana – non era da interpretarsi come un sostegno morale ed ideale a ciò che il drappello rappresentasse. Piuttosto, Landella, andando a zonzo distrattamente per la città si era imbattuto in un amico d’infanzia e, tutto, insieme, era montata la voglia tenera di abbracciarlo, per trasmettere, nel calore del contatto, la sua vicinanza all’uomo Panunzio.
La domanda sorge spontanea. E, anche questa, parte da relativamente lontano, dal 6 novembre. Quel giorno (un mese fa), Libera, l’Università, Rete della Conoscena, la Federazione Italiana Antiracket si riunirono a Foggia – in centro, e poi, a pomeriggio, anche a Lucera, 18 chilometri dal capoluogo, mica diecimila – per commemorare la figura di Giovanni Panunzio a vent’anni dalla sua uccisione. Di Landella, nessuna traccia. Quel 6 novembre, di abbracciare Lino e Giovanna (sua moglie), a Landella proprio è sfuggito di mente? Eppure, in città, su facebook, sui giornali, la voce era circolata. Eccome se era circolata.
Forse che Landella sia stato inibito dalla presenza delle scuole (decisamente troppe?), per un’età media che rimaneva abbondantemente al di sotto la soglia del voto (non rientravano tra i 1800 cittadini foggiani delle comunali e i 5600 delle Regionali)? Forse non ha trovato parcheggio, il buon Landella, per colpa delle strisce blu fatte mettere dall’amministrazione (però ci stava bene una nota stampa con queste parole: “Stavo arrivando in Università quando un crudele parcheggiatore mi ha affrontato con fiero cipiglio per esigere il pagamento dell’ora di sosta, al che ne è scaturita una discussione che s’è arenata in quisquilie e lungaggini tanto da impedirmi la partecipazione”)?
Spieghi, il buon Landella, piuttosto, come mai non ha mai partecipato alle iniziative in ricordo di Francesco Marcone o di Giovanni Panunzio. Sappia, il buon Landella, che la politica esige luoghi e tempi giusti e ogni ‘politico’ incapace di starci dentro non è degno di questo epiteto. Non serve un consulente pubblicitario ben remunerato se, alla base, si manca di prassi e di teoria. E se proprio vuole stringersi attorno al dolore di una famiglia sappia che di occasioni ce ne saranno a fiotti. Ma lo faccia in silenzio e con discrezione, senza clamore e senza tirare in ballo i giornali. Perché il rispetto è cosa sacra e, anche in questa Italietta infima e abituata ai suoi mostri, lustrarsi l’immagine in vista delle prossime elezioni servendosi dei familiari delle vittime di mafia è cosa pietosa.
(l’immagine è tratta dal sito www.statoquotidiano.it)
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