Sarakostì: un romanzo di Salvatore Tommasi

Creato il 26 febbraio 2011 da Cultura Salentina

Testo della presentazione del prof. Antonio Negro

Sarakostì”, la più recente produzione letteraria di Salvatore Tommasi, racconta, attraverso la memoria del protagonista, il processo di maturazione di un quattordicenne che si apre al mondo degli adulti e di questo mondo apprende contenuti, regole e contraddizioni, lavoro, relazioni umane, tradizioni ed appartenenza, valori, politica, affetti, amore, ecc. Nel romanzo la storia del protagonista si intreccia inestricabilmente con un significativo tratto di storia locale di una terra  (per dirla con i suoi stessi versi) nascosta dietro lo scialle di muriccioli / diroccati e vecchie cave di tufo / e spenti vivai di carbone, storia che rimanda continuamente alla storia di più ampio respiro, quella nazionale, esorcizzando così il rischio di un autoreferente sterile campanilismo. Una lezione di corretto dialogo fra la microstoria e la macrostoria.

La vicenda affonda le sue radici in un piccolo comune della Grecìa salentina, Calimera, che ha come fonte di reddito esclusivamente il duro lavoro della campagna ed il più disagevole lavoro di trasformazione della vegetazione mediterranea in carbone nelle macchie intorno ad Avetrana.

Il quadro di riferimento temporale è costituito dagli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale, 1936-1937, anni in cui è l’Italia è impegnata nella campagna d’Africa, progetto di espansione coloniale ideologicamente esaltato dal fascismo con la vocazione dell’Italia imperiale. E’ il mito che la propaganda diffonde di un’Italia forte, capace di resistere a testa alta alle sanzioni che la isolano, di un’Italia che vorrebbe trovare nelle colonie una fonte di ricchezza ed una valvola di sfogo per la disoccupazione incalzante. Di fronte a questa avventura la società rurale, compresa la comunità di Calimera, si divide tra simpatizzanti e piccoli gerarchi boriosi da una parte, e la gente comune, alle prese con le miserie quotidiane e per lo più indifferente ad una politica che sente lontana o incapace di risolvere i problemi, dall’altra.

Angelo, questo il nome del protagonista, emblema di tanti ragazzini salentini, emarginati dalla scuola perché costretti a contribuire col proprio lavoro, qualunque esso sia, al bilancio familiare, sul finire dell’estate, dopo la fiera della Madonna di Costantinopoli, viene strappato dai giochi con i suoi coetanei ed introdotto per sempre, come dice Angelo, nell’enigmatico e duro mondo degli adulti. Il padre, Leonardo, spinto dalla necessità di saldare un debito, affida il ragazzino al compare e capomacchia Nino che avrà il compito di istruirlo al mestiere di carbonaio.

Molti anni dopo, Angelo affida i suoi ricordi all’autore del romanzo che, attraverso i suoi occhi, racconta un percorso di vita personale, ma certamente emblematico perché ampiamente diffuso e simile a tante altre esperienze di vita. Ed eccolo Angelo, lontano da casa perché ostaggio della macchia di Avetrana, e di tutto ciò che essa comporta, costretto a vivere per circa quaranta giorni la propria iniziazione alla vita adulta: impara tecniche e segreti di un mestiere faticoso, ormai scomparso, a sopravvivere in una natura spesso ostile e mai amica,  a condividere fatiche e conoscere storie, a capire i suoi compagni di lavoro, il loro carattere, la loro forza e le loro debolezze, le condizioni e l’organizzazione del lavoro, le difficoltà e gli imprevisti che egli quotidianamente si trova ad affrontare.  E’ questa la sua quaresima, la sua Sarakostì. I religiosi quaranta giorni di penitenza in attesa della Resurrezione diventano metafora di una importante esperienza che fa maturare Angelo e lo apre alla vita, ai colori ed ai profumi della propria terra, alla scoperta di profondi, significativi legami affettivi, accanto alla maturazione sociale, politica. Angelo trova in questo periodo di quaresima le condizioni che gli favoriscono la costruzione della sua forte identità personale e culturale.

In questo processo di maturazione e di iniziazione alla vita-lavoro Angelo non sta solo. Egli condivide la quaresima con una nutrita galleria di personaggi che vengono minuziosamente descritti nel loro aspetto fisico, nella loro psicologia e nei ruoli che assumono al’interno della comunità di carbonai.

C’è anzitutto Nino, compare Nino, (una faccia larga , col naso enorme e tutto punzecchiato, come la tela del tombolo, le labbra grosse e prominenti), il padrino di cresima di Angelo e di moltissimi ragazzi di Calimera, da quando era diventato ricco con il suo saper fare nella produzione e vendita del carbone, ma soprattutto da quando aveva aderito al fascismo ed era intimo del podestà, posizione che gli facilitava l’emancipazione economica e di ricatto sociale. A Nino Angelo è legato da sentimenti contrapposti di affetto e riconoscenza da una parte, di timore, avversione, addirittura disprezzo per certi deplorevoli atti che compirà durante la permanenza nella macchia di Avetrana e per le scelte politiche.

C’è l’anziano e affettuoso Tore, afflitto dalla decisione del figlio di andare volontario in Africa. Proprio a Tore Nino affida Angelo per tutto il viaggio e per l’intera permanenza nella macchia. L’acido Pippi dall’aria antipatica che da 10 anni soffre per la sterilità del suo matrimonio; Cesare (figlio della Nunziata, forte come un cavallo) e Rocco (forte ed a cui non pesava il lavoro), amici inseparabili eppure divisi da una sotterranea rivalità; l’energico indefesso Masi (giovane basso e dal labbro leporino); l’allegro Gaetano e Ippazio, detto Pati, musone e taciturno perché da ragazzo ha visto il diavolo; e il giovane Niceta, con una selva di capelli ricciuti, che fa il grande perché fuma e che lo inizia al mondo femminile; l’invidioso ed astioso Vito, che sa tenere testa a compare Nino; e poi Domenico, detto Pigonà e suo fratello Biagio, simile ad un capo Sioux per il naso lungo ed affilato gli zigomi sporgenti e le guance incavate, Paoluccio dalla faccia liscia e rosea con suo padre Brizio.

E poi scopriamo il generosissimo carrettiere Damiano, da tutti conosciuto come Capitano,, rimasto sciancato per una grave ferita riportata nella Prima Guerra Mondiale, che coinvolgerà Angelo in una pericolosa missione e poi gli chiarirà l’identità di “Nessuno“, altro misterioso personaggio intorno a cui ruota circa metà romanzo e che avrà un ruolo importante nella maturazione culturale e politica di Angelo.

Mentre i carbonai svolgono il loro duro lavoro, Angelo ha il compito anche di fornire l’acqua che attinge da un pozzo di una masseria poco lontana dalla macchia. In questa masseria Angelo scopre una situazione imprevista ed imprevedibile che gli farà vivere segretamente una vita diversa, affascinante, destinata a fornirgli occasioni altamente formative di apertura al mondo della politica e della  cultura.

In questo palcoscenico spazio-temporale si svolge la vicenda, a metà tra storia e ricostruzione poetica, dove un adolescente diventa carbonaio ed uomo contemporaneamente. In una dimensione più generale la storia di Angelo diventa una fedele ricostruzione degli ambienti, delle credenze, della scala di valori che ispirava l’esistenza del popolo in quel periodo nella Grecìa; una attenta esplorazione degli atteggiamenti umani – descritti analiticamente nei gesti e nella comunicazione scarna; una puntuale ricostruzione di un mestiere perduto, nei suoi momenti duri e brutali come in quelli più camerateschi. Non manca nel testo una intensa delicatezza nell’affrontare il tema sentimentale – sia nella scoperta del sesso, sia nel maturare dei rapporti d’affetto tra il protagonista, una ragazza, Lucia, e gli adulti; né il richiamo ad usi e tradizioni o il ricorso dosato alla lingua grika.

In Sarakostì c’è la narrazione, il giallo, la storia e la poesia. Una contaminazione di generi che, fusi in un unico romanzo, lo rendono allo stesso tempo accattivante, educativo, suggestivo.

Interessante è anche la struttura del libro. Composto di quaranta capitoli (quanti i giorni della quaresima), il testo è una continua alternanza di parti narrative in prima persona, parti riflessive, sequenze descrittive, documentati scandagli storici nel passato o nelle situazioni contemporanee alle esperienze personali raccontate, rimandi a momenti della vita adulta di Angelo.

Nelle parti narrative, in particolare, l’autore si sofferma a far raccontare ora le vicende di Angelo, ora quelle dei protagonisti della guerra: prima guerra mondiale e guerra d’Africa, ora ci restituisce diversi aspetti tipici della civiltà e cultura della semplice gente di Calimera, della Grecìa, del Salento, ora ci descrive la macchia mediterranea dell’Arneo con dovizia di informazioni lessicali,  scientifiche ed economiche.

La narrazione si trasforma in giallo per quasi metà libro. Questo genere letterario si incunea nel percorso della narrazione in maniera sempre più coinvolgente creando alti momenti di suspense che incuriosisce e coinvolge il lettore in una misteriosa vicenda che lo tiene legato fino all’ultima pagina.

Sintatticamente, i periodi sono generalmente brevi, costruiti in paratassi; quando si rende necessaria l’ipotassi, le frasi sono armoniosamente costruite in una architettura linguistica piegata ad un uso meticoloso dei connettivi, ad una pignola distribuzione della punteggiatura, ad una organizzazione delle frasi che non tradisce mai la chiarezza espositiva e la semplicità comunicativa.

L’ampio ricorso all’aggettivazione dei termini, alle similitudini, alle numerose e meticolose descrizioni nei minimi particolari di un paesaggio, di una situazione, di un personaggio, di un’azione, l’ossessiva precisione lessicale, le numerose immagini e metafore che conferiscono alla prosa una leggerezza poetica radicata in una percezione sinestetica della realtà: tutto fa emergere una scrittura matura, letterariamente perfetta, conforme ai canoni dei generi letterari consacrati dalle grammatiche.


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