Possiamo discutere sull'opportunità di fare tali rivelazioni. Certo è che negli anni di guerra mangiare gatti è stata per molti una necessità. E rivelarlo da parte sua - non mi sta simpatico pe' gnente, ma vorrei essere obiettivo - è stato forse ingenuo e inopportuno, ma assolutamente non ipocrita, come molti che alzano scudi ora. Indossando scarpe di vacca, portafogli di vitellino, borse di coccodrillo, cinte di pitone. Se non addirittura pellicce non ecologiche, un orpello alquanto non necessario a queste latitudini. Trovo la distinzione sugli animali "da affezione" un vero cavillo antidemocratico. Tutti gli animali sono esseri viventi, non ci dovrebbero essere animali di serie A, le cui "carnine" non debbono essere nemmeno nominate, e animali di serie B di cui si può decantare impunemente la tenerezza. O divorati in kermesse dimostrative teletrasmesse a scopo politico - do you remember aviaria?. Io, che non sono vegetariano, mi sento in colpa ogni volta che passo davanti ad un gregge di pecore in cui saltella qualche agnellino. Eppure continuo a magnamme l'abbacchio con grande piacere. So che non migliorerà il mio karma, anzi. Ma dovrò anche aspettarmi una reprimenda da parte dei verdi? Io credo che se 35, 40 anni fà, Totò - ipotizzo, faccio un nome a caso - avesse confessato a "Studio Uno" di aver, per integrare di proteine la dieta povera del warfare, mangiato qualche volta un felino "da affezione" - come li definisce la legge 281 del 1991 - non ci sarebbero stati molti mormorii in sala. E, probabilmente, per la maggioranza sarebbero stati di complicità.
Quello che in conclusione mi resta fra i denti è un osso duro, impossibile da digerire: la carenza di memoria storica nella nostra dieta quotidiana indebolisce le nostre vitali funzioni di discernimento. E ci consegna alle fauci del revisionismo. Cerchiamo almeno di andargli di traverso: non beviamoci tutto senza controllare se è genuino.