Chiusi nelle scatole di latta hanno perso il profumo, quello del mare e quello della terra, della roccia di montagna e del tufo.
Li dispongo sul mio letto in tre file uguali e in ordine di grandezza così farò passare il tempo, questa enorme quantità di ore che nella mia esistenza scorrono più lente che per gli altri, per il resto dell’umanità così indaffarata e chiacchierona.
Me li porto dietro da sempre, è l’unica collezione che nella mia vita disordinata sono riuscita a mettere assieme.
In effetti, non me n’è mai riuscita una. Nemmeno da bambina.
Carla, invece, era una collezionista nata, lei riusciva a terminare gli album di figurine prima di chiunque, ed erano così ordinati e nuovi che tutti la invidiavano, a parte me, che ero la sua migliore amica.
Carla era precisa in tutto, puntuale e ordinata –eccezion fatta per i capelli, una massa informe di riccioli crespi e biondi-.
Questo sasso, appena rosato con le striature più scure e un po’ in rilievo, è stato il primo della collezione: ero con Carla.
Giocavamo sullo spiazzo grande davanti alla scuola e come ogni mattina ci spezzavamo le dita ad acchiappare le cinque pietre, o meglio, io me le spezzavo, lei vinceva sempre. Si concentrava come un gatto in attesa della preda per poi lanciare le pietre con un gesto della mano breve e secco, e le pietre saltavano in aria tutte assieme, come incollate tra loro, per ricadere l’attimo dopo proprio al centro della sua mano perfetta.
Una vera fortuna averla come amica! E quel giorno la pietra stava proprio accanto alla sua scarpa, e mi sembrò molto sola.
Carla rise della mia fantasia di dare un’anima alle cose: ma ero così, ancora stordita dalle fiabe volevo credere che tutto avesse un pensiero proprio, anche quel sasso, che mi guardava dal terreno. Così lo infilai nella cartella sotto gli occhi sorpresi di Carla e lo nascosi per bene da qualche parte.
È chiaro che durante i tanti traslochi e in quarant’anni di vita ho dovuto selezionarli, ma non è stato facile, e gettarne via alcuni è stata una complicazione imbarazzante.
Non ho più quello raccolto in Irpinia, il giorno dopo la sospirata maturità: avevo preso sessanta, Carla, anche la lode. Lo raccolsi nei pressi di un dirupo perché sembrava un’isola. Certo, ogni sasso può sembrare un’isola, ma quella era esattamente come nel mio immaginario è un’isola deserta: più lunga sui due lati, ampia dove si stagliano le rocce, a picco sull’oceano.
Anche quello che volevo lanciare contro la macchina di Stefano quando scoprii che aveva baciato Carla, l’ho dovuto lasciare: eppure la rinuncia alla violenza val bene un souvenir. Ma forse non mi andava più di ricordare Stefano, lui e il suo perfezionismo da futuro ingegnere, e la sua lentezza nel prendere iniziative, almeno con me. Sta di fatto che anche se era bellissimo, quel grigio sasso di mare bitorzoluto con una voragine esattamente al centro, fu abbandonato nella casa di Via degli Ibernesi.
Lì ho vissuto la della mia storia estrema con Nico.
Quando me lo mise in mano, il sasso, era una notte di luna piena, come da copione, e mi disse che il suo cuore era esattamente così: una pietra larga e dura ma senza aperture, senza nessuna voragine improvvisa. Peccato scoprire, un anno dopo, che si era perdutamente innamorato di una tipa e che la voleva sposare: naturalmente si trattava di Carla.
Adesso lo uso come fermacarte, così me lo ricordo la prossima volta di non dare troppo credito al mio sesto senso, di non pensare che l’amore, se si sente, vuol dire che vive e arde anche nell’altro.
È anche bello pesante ma troppo piccolo come ferma porta e in questi giorni di maestrale, qui sulla costa, uso il sasso che trovai in montagna. Ci inciampai correndo attraverso un campo, la vista annebbiata da un pianto a dirotto e dalla pioggia.
Era un giorno noioso di quelli che proprio non trovi niente da fare, nessuna concentrazione per leggere, zero voglia di cucinare e nessuna TV. Anche la settimana enigmistica era sparita!
Franco fu evasivo quando volli fare l’amore con lui, poi si eclissò nel bagno, e fu da lì che mi urlò che aveva da due anni una storia con Carla.
Questo sasso, invece, questo magnifico sasso perfettamente tondo, appartiene a una notte d’inverno.
È bello, forse è il più bello di tutti così perfettamente liscio che si direbbe lavorato da qualcosa di più che dal tempo. Questo sasso sferico venato appena di giallo si adattò perfettamente alla mia mano piccola quella notte fredda, e sa ancora di mare: l’ho usato su Carla, ieri sera, e più di una volta, di seguito e con forza. Il mio secondo marito ha una elazione con lei da più di un anno.