Il Pedum (2.111 m.), ovvero il cuore della Val Grande, polmone verde disteso tra Ossola e Verbano, con le sue sette cime ed un aspetto alquanto bizzarro è la montagna simbolo di questo spicchio di Lepontine piemontesi. In un passato non troppo remoto attorno alle sue scoscesi pareti transitarono uomini col cuore in gola, gonfi di terrore, genti che si infilavano lungo cenge larghe poco più di un palmo della mano; sovente per uno scialbo pugno d'erba per il bestiame, per fame nera.Individui che oltrepassavano dirupi e strapiombi per raggiungere antiche casere sperdute tra la Val Grande e la Val Vigezzo; chissà quante anime sono state inghiottite da quelle oscure cavità senza fine, chissà quanti segreti custodiscono quelle rocce nel loro immenso e perpetuo silenzio.
Il “Cùa Rùsa” (Coda Rossa) era anche lui un uomo di valgranda, uno di loro; cacciatore per vocazione ma soprattutto per necessità.Figura ambigua, eternamente sospesa tra realtà e leggenda di cui il passare degli anni non ha fatto che appannare il ricordo ed infittire il mistero, complice altresì la scarsa documentazione reperibile.Non si conosce con esattezza l'origine di quel soprannome; alcuni ritengono giunga dal colore della barba o dei capelli, altri lo associarono al codirosso, un piccolo uccello con la coda dai toni color ruggine che nella stagione estiva non è improbabile scorgere tra i monti valgrandini.Il “Cùa Rùsa” pare si muovesse in quelle zone impervie sia d'estate che d'inverno con l'agilità e la disinvoltura propria di un volatile.Da quelle parti vi sono certe lame così impressionanti che anche i camosci non di rado si trovano in difficoltà nel doverle varcare.Sono quindi costretti ad affondare con violenza le corna nei cespugli dandosi in seguito una forte spinta verso l'alto.La storia narra che il “Cùa Rùsa” scendendo dal Pedum avesse trovato un balmo, oggi ribattezzato col suo nome.Quei luoghi aspri ed assolati erano il suo regno, strette e canaloni la sua specialità.Siamo consapevoli che nelle Alpi esistono altre montagne molto più elevate e certamente famose, ma non così inaccessibili, affascinanti e impenetrabili dove storia e leggenda si amalgamano in modo assoluto; Il Pedum è un luogo unico, quasi magico.Il “Cùa Rùsa” conosceva la sua terra primariamente coi piedi, oltre che con la mente, frutto di pratica ed esplorazioni quotidiane; quegli “abissi” non avevano più alcun segreto per lui.
Ma venne il giorno che da quegli spazi remoti ed isolati non vi fece più ritorno.Era una tersa e tiepida mattina di maggio, il sole sempre più alto nel cielo penetrava con maggior prepotenza nella neve, iniziando così il processo di scioglimento della coltre bianca che nel corso della stagione invernale aveva ammantato ogni anfratto dell'ormai brullo paesaggio montano.Attorno le pendici del Pedum alcuni alpigiani alle prese con le loro antiche e quotidiane fatiche notarono uno strano e sinistro volteggiare di corvi.
Qualcosa di inusuale per quei montanari, profondi conoscitori del loro ambiente ed attenti ad ogni minimo cambiamento naturale come il mutare delle stagioni, della luce e delle ombre nel tempo. Dopo pranzo alcuni di loro insospettiti da ciò che i loro occhi avevano veduto stabilirono di mettersi in marcia verso il luogo in questione per far luce sull'anomalo comportamento di quei tenebrosi volatili.Il cammino non era semplice, risalirono con affanno la Val Cavrì, poi la Val Manau e tra i sassi e la neve fecero la macabra scoperta. Vicino ad un faggio quasi solitario affiorava la salma del “Cùa Rùsa”, non c'era ombra di dubbio era innegabilmente lui! Alcuni corvi con malagrazia stavano già banchettando dei suoi miserevoli resti....morì così, in completa solitudine tra gli ultimi sussulti di candore e la dolce e tiepida terra di primavera, selvaggiamente come gli ungulati che sono soliti frequentare queste disperate cime, protetto solo da un palmo di quell'ultima neve.Storie di Val Grande; terra spesso amara e misteriosa dove anche i più invisibili meandri offuscati tra l'achillea ed il ginepro custodiscono leggende da tramandare.
Filippo Spadoni.
Testo liberamente ispirato da “Monte Pedum. La leggenda del Coda Rossa” di Pietro Pisano.