Save Beirut Heritage

Creato il 19 novembre 2010 da Angeloricci @angeloricci

Ho un interesse particolare per Beirut. Letture, sensazioni, persone conosciute in passato. Beirut è il paradigma dei sogni impossibili. Beirut è il segno lasciato da un passato e da un presente che da sempre cercano con difficoltà un futuro. Beirut è il luogo dove le crisi del medioriente inevitabilmente sfociano. Beirut è il conflitto stridente tra l'orrore di una lunga guerra civile e l'ostentazione di una normalità forzata. A Beirut ogni cosa trova il suo opposto e le nostre bussole socio-politiche occidentali sono del tutto inadeguate; anche soltanto per fare un timido tentativo di comprensione.
Ho già scritto a proposito di alcuni romanzi e saggi che hanno Beirut come argomento: un post dedicato alla città, uno dedicato a Ya, salam!, uno dedicato a Beirut, i  love you e uno al bellissimo saggio di Samir Kassir.
Ora, venuto a conoscenza dei nuovi problemi che minano l'identità e la memoria storica di Beirut, ho trovato in rete questo illuminante articolo che pubblico integralmente (l'originale è qui).
Conosciuta in passato come la “Parigi del Medio Oriente”, è stata poi martoriata da una lunga e sanguinosa guerra civile. Beirut, “metropoli araba mediterranea e occidentalizzata” nelle parole dell’intellettuale Samir Kassir, è la città dei contrasti: chiese e moschee convivono vicine, divise tra Achrafieh, il quartiere cristiano, e Hamra, quello musulmano.Donne chiuse nel velo passeggiano su La Corniche, la suggestiva promenade panoramica sul lungomare, accanto a coetanee in attillate vesti occidentali. NelDowntown, il centro storico della capitale, moderne residenze sorgono gomito a gomito con edifici storici segnati dalla guerra. Molte delle palazzine in stile ottomano, dai caratteristici balconi di marmo, si trovano in stato di rovina o sono andate oramai perdute a causa dei bombardamenti. Quel che rimane del patrimonio architettonico della città, oggi deve, però, far fronte a un nuovo nemico: gli immobiliaristi.La demolizione degli edifici storici è un evento che si ripete quotidianamente a Beirut, dove, nello stesso tempo, grattacieli di dubbio gusto e giganteschi parcheggi auto si diffondono sempre più rapidamente. Le gru sono sempre in attività: non per riparare ma per abbattere[1]. Si demoliscono anche le case antiche, con i tetti rossi e le tipiche finestre a tre archi, che in piedi ci starebbero benissimo. Al loro posto sorgeranno costosissimi alberghi e centri commerciali. Ricchissime società immobiliari saudite, fiutando l’affare della ricostruzione, approdano a Beirut per costruire cattedrali di cemento dai costi proibitivi con vista mare su La Corniche. Da ultimo, alcune società del Golfo, come l’Abu Dhabi Investment House e la Roads Holdings del Qatar, si occuperanno dello sviluppo di un gigantesco progetto immobiliare, circa 100mila metri quadrati nel centro storico, denominato Beirut Gate. Il progetto prevede la costruzione di unità residenziali e commerciali, luoghi di ritrovo e hotel[2]. Laddove un tempo, nel cuore della città, sorgevano i caratteristici souks con i loro profumi e la confusione delle voci, oggi sorge Beirut Souks, un enorme complesso commerciale con oltre 200 prestigiose boutiques, ristoranti e sale cinematografiche. Il modello di ricostruzione promosso da Solidere, la Compagnia Libanese per la Sviluppo e la Ricostruzione, è stato quello di azzerare il passato e ricostruire la città in forme nuove, trasformando anche la rete stradale[3]. Il progetto Solidere è stato spesso definito come una novella Disneyland. E’ la Beirut dei ricchi del Golfo che rischia di trasformare la ‘Parigi del Medio Oriente’ nella ‘Dubai del Levante’. Anche a seguito della crisi finanziaria globale, che ha dirottato in Libano ingenti capitali provenienti dalle monarchie del Golfo, Dubai sembra essere il modello da emulare. A suggello del rapporto tra la città e i ricchi petrolieri è stato recentemente presentato il progetto ‘Cedar Island’, di cui si è fatta promotrice la Noor International Holding, sede a Beirut e capitale ad Abu Dhabi. Il progetto prevede la costruzione di una futuristica isola a forma di cedro lungo la costa, a sud della capitale, per far spazio a hotel e ville di lusso, country club e impianti sportivi, seguendo l’esempio delle isole artificiali di Dubai[4]. La distruzione del patrimonio architettonico della città ha suscitato la reazione sdegnata di molti libanesi: negli ultimi mesi è nato su Facebook un movimento, chiamato “Save Beirut Heritage”[5], nel tentativo di salvare quel che rimane della vecchia Beirut. Oltre alla campagna di affissione massiva per le strade della capitale, questi cittadini, in collaborazione con l’APSAD (l’Association pour la protection des sites et anciennes demeures), dopo aver recensito tutte le case tradizionali di Beirut, contano di proporre delle interessanti alternative finanziarie ai vecchi proprietari decisi a vendere. L’obiettivo dichiarato è rinnovare il patrimonio invece che distruggerlo. L’anima della città è “mille volte morta, mille volte rinata”, come scrisse la poetessa Nadia Tueni, a testimoniare le tante vite di Beirut. Multi-religiosa, crocevia di differenti identità e culture, Beirut è sempre stata un luogo in trasformazione. Lo scempio urbanistico del distretto centrale, però, rischia di snaturarne per sempre lo spirito e l’identità, trasformando la “città dei giardini” in un residence per ricchi turisti. L’amnesia e la rimozione del proprio patrimonio architettonico e culturale sembrano essere gli imperativi sottesi ai progetti urbanistici di ricostruzione, laddove invece il recupero del proprio passato sarebbe la chiave per salvaguardare il presente e il futuro della città. La speculazione edilizia sta distruggendo le ultime aree verdi della città e le abitazioni in stile tradizionale. Poche ancora resistono, come assediate nei loro giardini, dove fioriscono buganvillea, oleandri e fiori d’arancio. Nel vecchio quartiere di Achrafieh sorge rue Sursock, famosa per le sue storiche ville, i giardini e gli alberi secolari. Presto qui sarà costruito un grande parcheggio auto. All’inizio della via un cartello scritto in caratteri arabi recita: “Strada a carattere tradizionale”. Un passante, con un pennarello, ha pensato bene di aggiungere il termine “Kana”: “Lo era”.[6].


[1] Robert Frisk, Beirut Is Determined to Kill Its Rich Ottoman Past, in ‘The Independent’, 22 May 2010.[2] Notizia ANSA del 25 febbraio 2009, in http://www.freelypress.com/freelypress_beirut.html[3] Elena Pirazzoli, Locali Notturni e Macerie Abitate: La Ricostruzione Ambigua di Beirut, Rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici On-line, 15 marzo 2006.[4] Vedi ‘In Libano, Periodico d’Informazione Economico-Commerciale’, maggio 2009. Il numero è reperibile all’indirizzo www.ambbeirut.esteri.it[5] http://www.facebook.com/group.php?gid=106647959367804[6] Francesca Caferri, Pace e Turismo, la Rinascita di Beirut e la Città Diventa un Cantiere, in “La Repubblica” del 22 luglio 2010


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