Recensione di Tiziana Viganò
Un'ombra si aggira nel desolato scenario dell'ex Manicomio di Mombello, un edificio che implode su se stesso. Percorre le stanze e i corridoi desolati, sfiora appena il pavimento ricoperto di calcinacci, una sedia capovolta, un paio di occhiali rotti, un letto di ferro arrugginito con un materasso sfondato che ora è tana per topi. L'anima inquieta rispecchia l'energia dei luoghi, intrisa di angoscia e sofferenza senza limiti, di tragedie, di sopraffazioni che i muri hanno accumulato nei cent'anni di storia fino al 1978, quando la legge Basaglia ha decretato la chiusura dei manicomi e i malati psichici, quelli veri e quelli reclusi a torto, per motivi oscuri o per ignoranza, sono finalmente usciti dalla prigione, che li rendeva pazzi davvero e vivono nel mondo.
In condivisione con operatori specializzati, famigliari, volontari, in un clima dove si parla di recupero della salute e non di centralità della malattia, di conoscenza e di possibilità, si lavora per superare il senso di inadeguatezza, le frustrazioni, le difficoltà dei pazienti e della famiglia, si fanno progetti per un futuro che prima sfuggiva dalle loro mani, affetti, casa, lavoro...
L'affettività, così importante che uno dei personaggi dice "perfino nella mia patologia c'è scritto affettiva, talmente tanto è il bisogno di affetto che mi sono portato dietro": una definizione che, se non proprio scientifica, contiene tutto un mondo di bisogni che, se negati fin dalla tenera età, diventano una miccia pronta ad esplodere in qualunque momento.
Così, dietro l' escamotage di una vicenda che si tinge di giallo con un ispettore che indaga, l'autore traccia i profili di persone in disagio psichico, con le loro storie di vita, i drammi emotivi, quando non tragedie, passati e presenti. La sofferenza si dipana piano piano a contatto con quella degli altri, il gruppo interagisce con una comunicazione che si fa più agevole proprio perché fuori dagli schemi consueti della cura ospedaliera. La guida di un medico lungimirante, aperto alle esperienze della vita che va oltre i protocolli terapeutici, apre le menti, fa vedere bagliori di luce, l'esperienza della libertà apre le gabbie che la stessa mente crea e che la società con la sua censura e con il pregiudizio, cementifica.
Uscire all'aperto, respirare aria libera, giocare e confrontarsi, senza rincorrere assurdamente un ideale di "normalità", definizione impossibile da definire.
Chi è normale e chi non lo è? Chi lo stabilisce? Su che parametri?
Anche la persona più normale ha i suoi lati oscuri, i suoi scheletri nell'armadio, un inconscio dove ha sepolto ciò che non vuole riconoscere. E di questo ha paura.
Scacco matto allora, in una partita in cui nessuno vince e nessuno perde.
In questo libro così interessante, Mauro Tonveronachi descrive un mondo di persone alle prese con i grandi problemi della mente e dell'affettività, ma che hanno la possibilità di vincere i fantasmi che le imprigionano con un lavoro difficile ma propositivo, e sottolinea anche le follie della nostra società che si crede sana e normale ed è ben lontana dall'esserlo.
Fotografie scattate nell'ex Manicomio di Mombello da Chiara Chizzini ©