Scarafaggio Scrittore #2

Creato il 26 novembre 2013 da Iltondi @iltondi

Dicono che ho a che vedere con Kafka. Sì, l’ho letta la storia di quel tizio che un giorno si sveglia trasformato in un insetto gigante. Non male. Anzi, mi è piaciuta proprio. Era un genietto quel vostro Kafka. Attenzione a parlare degli scarafaggi, però. Non siamo insetti come gli altri: noi siamo ovunque, infestiamo, spaventiamo, siamo il disgusto nell’immaginario collettivo e ne siamo schifosamente orgogliosi. Insomma, schiacciateci e noi saremo di nuovo lì, chiameremo gli altri a raccolta e ci insinueremo nelle soffici ciabatte ai piedi del letto o tra le vostre lenzuola appena stirate.D’accordo, non io. Quella lì è la massa, io ho altro da fare. Io devo scrivere. E poi, come ha detto uno dei vostri, quel Freud, “La massa è un gregge docile che non può vivere senza un padrone”, e io non voglio padroni, non ci tengo, no grazie. Anche se, devo dire, questo è un argomento che mi ha sempre affascinato, e il mio romanzo prende spunto proprio da lì, dal pensiero di massa, dal potere suggestivo dei leader carismatici, certo partendo dal piccolo, dall’individuo, ma poi allargandosi a tematiche più ampie. 

Vi sto annoiando? Scusate, è che mi piace filosofeggiare un po’, scavare tra la melma e riportare in superficie i mali del mondo. Ma non è roba alla Hitler, intendiamoci, so bene che per voi quel nome rappresenti un bello spauracchio. A noi scarafaggi non interessa tanto distruggerci a vicenda, quanto semmai distruggere… voi. Bisogna che col mio libro provi a risvegliare la coscienza generale, e siano tutti padroni senza schiavi, eh sì, io ci provo. Ecco, c’è una cosa che allora devo dirvi, mi sa che me n’ero dimenticato: io vi odio. Già. Che gran sentimento l’odio, sempre autentico, travolgente. E quest’odio mi porta in un’unica direzione, un luogo scuro e solitario: la vendetta. C’è un’altra cosa che devo dirvi, a questo punto: vi ho raccontato che Dana se n’è andata, è vero, se n’è andata lontana da me per via della mia inadeguatezza, il mio bere eccessivo, totalizzante e deleterio, i miei scatti improvvisi di rabbia, il mio stile di vita inconcludente, va bene, io sono la causa. E, credetemi, non passa giorno che non mi senta tremendamente in colpa per questo.

Le scrivevo, le scrivevo spesso con la mia Underwood, e qualche goccia di bourbon cadeva a insozzare i fogli, a lasciare l’odore maledetto dell’alcol sulle mie parole. Lei mi rispondeva, non mancava mai una volta, finché un giorno non l’ha più fatto. Dopo qualche tempo riuscii ad avere notizie di lei attraverso un amico che viveva in una cantina da quelle parti; mi disse che l’avevano colpita, schiacciata con una scopa. Una donna l’aveva scovata nel suo appartamento, in camera da letto, mentre si aggirava tra le boccette di profumo (è sempre stata attratta dai profumi, Dana, dio quanto le piacevano) e boom, un colpo secco, Dana non c’era più. Oggi non sento la sua voce, no. Oggi mi pare di sentire il suo rantolo di morte, gli ultimi spasimi di una triste agonia. E ora mi pare anche di sentire una canzone, ma sì, sale piano piano questo pianto di chitarra:

“I look at you all, see the love there that’s sleeping 

while my guitar gently weeps”



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