Scatole cinesi posted by Italo Russo

Da Parolesemplici

È arrivata alcune settimane addietro una delle infinite mail che non ti dicono niente, e tuttavia, magari inconsciamente, ne sperimentiamo, sulla nostra pelle, il monstrum, il meraviglioso incognito mondo che da esse promana.

Un mondo che quasi sempre a te non interessa. Un mondo che comunque esiste. Rintanati nelle grotte delle nostre millenarie abitudini, il nuovo, vuoi o non vuoi, ti shocka. Le mail hanno invaso la nostra vita. Siamo diventati mail-dipendenti, anche chi mai in vita sua ha avuto l’occasione di scrivere una lettera. Anche le mail hanno una loro vita.

Il primo impulso fu quello di dirigere quella lettera verso la casella dove confluisce inesorabilmente tutto quello che l’istinto, e un apposito programma, consigliano di classificare appunto come Spam. Ora, io non ho capito, anzi, non ho avuto ancora il tempo di chiedere all’esperto (naturalmente uno dei miei nipoti), che cavolo significa Spam; se elidi la lettera S, il lemma puoi inserirlo quale elemento onomatopeico da fumetto, disegnato, come nelle strisce di Cino e Franco, di Gim Toro o di Tex, davanti alla canna di un fucile o di una pistola: Pam! e quella sgradita mail muore, Pam! È morta, giustiziata finalmente, per un nuovo accettato codice  universale (finalmente? e chi lo dice! Perché in effetti un bel giorno ti salta di nuovo addosso in quanto impercettibilmente ripulita del vecchio vestito al quale in effetti è stato cambiato magari un solo bottone).

Ma questo non c’entra con il  io racconto, perché alla fine, vista la originalità di quella mail, non l’ho uccisa, l’ho comunque salvata in attesa di …di che cosa? In verità, essendo la mail decisamente curiosa, e per certi aspetti coinvolgente, la dirottai provvisoriamente nella casella bozze, dove raccolgo quella infinita varietà di posta elettronica in arrivo che ritengo (potrebbe essere) interessante, ma che difficilmente poi riapro. Ma questa, chissà perché, l’ho riaperta, e riletta.

Il patron del blog (mio Dio, scusatemi se utilizzo questo strano surreale fraseggio, ma è di moda e non voglio che mi si creda un matusa, arretrato in tutto quello che il nuovo linguaggio informatico ti obbliga di adorare, come se fosse la nuova Ostia Divina negli anomali secoli che stentatamente stiamo vivendo, accerchiati dal bunga bunga e da un esercito di veline che dallo schermo televisivo ti sculettano in faccia), il patron, dicevo, si presentava con il nome di José Pascal che, in effetti, dice, è uno pseudonimo, e si dice “figlio del fu Mattia Pascal e Ederì Buendìa, discendente, la signora Ederì, dal grande colonnello Aureliano Buendía”; il nostro blogghista dice essere nato “anni or sono a Comuncè, un piccolo paese incastonato fra il Nord del Mediterraneo e il Sud dell’Italia”.  Un’area geografica immensa per la mia ridotta fantasia.

Allora analizzai metodicamente il contenuto di quella lettera elettronica, la mia quasi professionale attività di ricercatore delle cose del passato me lo impose perché diventata ormai una inconscia deviazione.

Della famiglia Pascal conosco solo il Blaise, fisico e matematico francese dei tempi passati, vissuto nel 17° secolo dello scorso millennio e autore tra l’altro, guarda guarda! dei Pensieri; Aureliano mi ricorda uno dei tanti eroi rivoluzionari che hanno fatto la storia  (?) del Sudamerica, anche lui feroce che più feroce non si può, alla guida di feroci desperados di quelli che dormono col fucile a tracolla e col sombrero in testa, come a voler scimmiottare i texani che il caratteristico cappello non abbandonano neanche da morti.

Il piccolo paese incastonato fra il Nord del Mediterraneo e il Sud dell’Italia, Comuncé, mi è ignoto, non l’ho trovato neanche nell’Atlante Geografico De Agostini, che in verità cita la mia Brucoli,  Pollena Trocchia e, nella impenetrabile foresta amazzonica, Três  Casas (22 abitanti vestiti,beati loro, di niente), ma non Comuncé. Ne ho dedotto che tutto, nella home di José, è, potrebbe essere, uno pseudonimo, anche il link  www. parolesemplici.wordpress.com/mytinbox/, una scatola di latta virtuale egli dice; ed io mi chiesi: perché? Perché José Pascal è approdato alla anonima spiaggia del mio insignificante username?

Dice che mi ha scoperto in www.literary.it, dove in effetti pubblico alcuni dei miei scritti. Grazie di avermi letto, caro Pascal, visto che, oggi, essere letti in internet, vedere apparire il proprio nome in internet o la propria faccia su un qualsiasi schermo, gratifica, fa diventare celebri. Dal video puoi salutare tutti quelli che ti conoscono, anche se tu non li conosci. E poi, vuoi mettere quel futuribile urlo di guerra:  Io c’ero! Io c’ero! ? Dove non importa, ma c’eri.

Ho accolto la preghiera di José e, a modo mio, diffondo la sua iniziativa, il suo nuovo evangelo, il quale, precisa Pascal, è nato per  “custodire pensieri, ricordi, immagini, suoni e semplici storie”. “Ogni testo ha un’anima, un pensiero, una storia che merita la massima attenzione e una delicata cura / Every text has a soul, a thought, a story that deserves the utmost attention and care “. Italiano e inglese appunto, e ne dedussi che l’iniziativa era diretta effettivamente a tutto il mondo, in ogni angolo di terra e di mare dove l’italiano è giunto da emigrante, e certamente la  lingua inglese, esportata con le cannoniere dovunque il mare si sia rivela salato, la lingua inglese dicevo, che è il tanto vagheggiato esperanto, la lingua universale destinata a unire tutti i popoli. Tsè!

Aprendo la mail (meglio; e-mail, fa più cultura, mi suggerisce il saccente mio nipote) aprendo, dicevo, la e-mail di José Pascal, discendente per madre in linea diretta dal grande colonnello Aureliano Buendía, mi portai, come si dice, l’acqua dentro. Esaminai alcuni contributi che gli erano pervenuti e che lui aveva immesso on line quali gioielli preziosi. Rimasi sconcertato, come fulminato sulla via di Damasco! Sentimenti e sentimenti, e ancora sentimenti strettamente legati ad altri sentimenti… mio Dio! Qui c’è l’uomo, ne dedussi, l’uomo così come me lo ha descritto il decano londinese John Donne, vecchio di cinque secoli e passa, il quale ha cercato di inculcarmi nella zucca che io, proprio io, ma non solo io, non sono un’isola, ma faccio parte di un continente organico in inscindibile simbiosi e non solo, e se una parte di questo per me incognito continente muore, si sfrangia o collassa, voglio o non voglio ne rimarrò coinvolto. Una parte di te muore, è morta.

Quante anime, quanti sentimenti nel blog di Josè Pascal, mille e mille affluenti a versare le proprie acque in quell’immenso, incommensurabile lago chiamato Umanità; una crestomazia, un florilegio di IO CI SONO! che si propone agli altri, a miliardi di altri sconosciuti che possono captare per l’etere le vibrazioni di anime che comunque vogliono essere conosciute se non per il corpo, il che è impensabile, almeno per quanto riescono a dire e dicono perché lo pensano e non vogliono che rimanga, questo PENSARE, all’interno di sé. Piccola mela, dove stai rotolando?

La solitudine, ecco il motivo incentivante. Immaginatevi una grande folla in una grande piazza, quella che una volta era la Piazza Agorà  ed oggi nota come la Piazza Web, una piazza grande quanto tutta la vostra fantasia, che non ha confini ristretti tra contrapposte sponde di mare. “Centinaia migliaia milioni miliardi di persone d’ogni sesso età cultura interesse a muoversi chi qua chi là, e tutti ad avere il tempo e la voglia di far sentire la propria voce, trasmettere i propri sentimenti, forse  di guardarsi, toccarsi, sentirsi vicini l’un l’altro nel virtuale mondo di www punto qualsiasicosa.org, parlare forse, mai ascoltare non ce n’è il tempo né la possibilità, ma solo ascoltarsi…ecco, proprio ascoltarsi l’un l’altro, parlare e ascoltarsi, e sapere così di non essere soli, di esistere, essere … siamo forse sbarcati nella nova Insula Utopia?”

Questo pensiero, ripreso in un dormiveglia esistenziale da un mio vecchio scritto, balzò su, aggressivo, non appena cominciai a scorrere il blog di Josè Pascal figlio della nobile signora Ederì Buendìa. Tanto tempo fa, a Moncalieri, dove fui mandato a fare il soldato in continente ( e lì, non posso dimenticarlo, le pietre si chiamavano addirittura sassi!), c’era un salotto culturale, al quale fui ammesso; erano tempi in cui i giornali avevano la c.d. terza pagina e tu potevi scrivere quando ancora si scriveva con la penna. Tempi straordinari quelli, perché conobbi, nella periferia torinese, Tilly Zàtony l’ ungherese fuoruscita, Tilly di periferia così come mi piacque presentarla in un mio scritto che  ancora conservo. Lì, esprimevi la tua cultura e la tua anima. Oggi la terza pagina non esiste più e lì dove esiste, o dicono che esista, trovi un lemure di cultura che si sbrodola nella fogna della politica o della più efferata cronaca nera.

Nel salotto culturale di Moncalieri tu trovavi sempre qualcuno con cui parlare o litigare, e che potevi ascoltare o non ascoltare, perché, entrambi, avevate qualcosa da dirvi, o non dirvi…e in alternativa leggere il giornale protetto da una robusta stecca di legno… avevate la possibilità di sconfiggere la solitudine, quella solitudine che oggi l’umanità intera sembra voler esorcizzare inviando nell’etere tutto quello che gli detta il cuore, tutto quello che una volta veniva discusso nei salotti letterari o impresso nella terza pagina. L’umanità intera, che dai tempi di Cro-Magnon ha vissuto metà della sua esistenza nell’agorà, stenta a ritrovarvisi, e scrive, scrive… A chi? per chi? perché? Kaìre, o tòmos, ev o dactùlo enghègraptai patròs o lògos! “Salve, o volume, in cui con il dito è stata impressa la parola del Padre”.

Piccola mela, dove sei rotolata?


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