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“Scatti artificiali e privi di pensiero”: Gianni Berengo Gardin nell’era del digitale

Da Collettivowsp @collettivowsp

Gianni Berengo Gardin inizia a occuparsi di fotografia dal 1954 ad occuparsi di fotografia. Inizia la sua carriera di fotoreporter, nel 1965 quando lavora per Il Mondo di Mario Pannunzio. Negli anni a venire collabora con le maggiori testate nazionali e internazionali come Domus, Epoca, Le Figaro, L’Espresso, Time, Stern.

Il suo modo caratteristico di fotografare, il suo occhio attento al mondo e alle diverse realtà, dall’architettura al paesaggio, alla vita quotidiana, gli hanno decretato il successo internazionale e lo rendono un fotografo molto richiesto anche nel mercato della comunicazione d’immagine.

“Scatti artificiali e privi di pensiero”: Gianni Berengo Gardin nell’era del digitale

Gianni Berengo Gardin

Gianni Berengo Gardin ha pubblicato oltre 2o0 libri fotografici. Tra gli altri, Venise des Saisons, Morire di classe (con Carla Cerati), L’occhio come mestiere, Toscana, Francia, Gran Bretagna, Roma, Dentro le case, Dentro il lavoro, Scanno, Il Mondo, Un paese vent’anni dopo (con Cesare Zavattini), In treno attraverso l’Italia (con Ferdinando Scianna e Roberto Koch), fino al grande libro antologico dal titolo Gianni Berengo Gardin Fotografo (1990), Reportage in Sardegna 1968/2006 (Imago edizioni 2006).

Qualche anno fa ha dedicato il suo lavoro alle comunità di zingari in Italia e il libro Disperata Allegria – vivere da Zingari a Firenze ha vinto nel 1994 l’Oscar Barnack Award.

Le sue ultime mostre sono state a New York (1999 – Leica Gallery) e in Germania (2000). Nel 2005 la Federazione Italiana Associazioni Fotografiche gli ha dedicato una monografia della collana “Grandi Autori”. Nel novembre 2007, sempre la FIAF, ha editato la monografia “L’Abruzzo dei fotografi”, che ospita (anche in copertina) dieci sue immagini dell’Aquila ed un’intervista.

E’ membro dell’agenzia Contrasto dal 1990.

Linkiamo un’interessante intervista rilasciata dal fotografo al Sole 24 ore nel 2010, che riteniamo interessante rispetto all’annosa questione del rapporto del fotografo con la postproduzione digitale.
Leggi l’intervista cliccando qui.



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