La scenografia è l’arredo plastico-architettonico dei film: in molti film la scenografia è parte determinante del processo di costruzione visiva, è ciò che accompagna gli attori e li riempie di forme. Il testo di Sara Martin, insegnante di Storia e Tecnica della Televisione e dei Nuovi Media presso l’Università degli studi di Udine e caporedattore del semestrale Cinergie, Scenografia e scenografi, edito da Il Castoro, entra nel particolare dei grandi scenografi del cinema italiano, quindi della storia intera del cinema. L’uomo degli ambienti, l’elemento portante di un disegno generale che include anche la narrazione: ecco a voi il ruolo dello scenografo. Partendo dal cinema muto con i suoi fondali dipinti, la figura dello scenografo si è evoluta nel tempo, fino alla rivoluzione digitale, nella quale il nobile ruolo si è trasformato in virtù di una auto-consapevole declinazione delle strategie costruttive.
Si va da Camillo Innocenti, impegnato nell’imponente set di Quo Vadis?, a Luigi Romano Borgnetto del primo importante kolossal della storia del cinema, Cabiria (Giovanni Pastrone, 1914). Ma il primo nome di rilievo è Alfredo Manzi, autore di un realismo minimale, che progetta le scene per Assunta Spina. Gli anni ’20 sono anche il decennio della sintesi fra la scenografia e le arti visive, nell’esempio di Anton Giulio Bragaglia (autore di Thaïs). A seguire Guido Fiorini, complice raffinato del look dei telefoni bianchi, e l’eclettico Gastone Medin che realizza il primo film italiano sonoro, La canzone dell’amore (1930). Da non dimenticare anche Piero Filippone (Germania anno zero su tutti), Pietro Aschieri (con le sue imponenti scenografie del film Scipione l’Africano inaugura ufficialmente gli stabilimenti di Cinecittà) e Virgilio Marchi, lo scenografo neorealista per eccellenza, lanciato dal favolistico di La corona di ferro, e a seguire Umberto D. (dove dà il meglio di sé), Europa 51, La macchina ammazzacattivi, Stazione Termini, L’oro di Napoli).
Gli scenografi del dopoguerra, partendo dal dato realistico, sviluppano una corrente che è vero e proprio punto di riferimento anche per l’estero, all’interno della quale evolveranno le componenti drammatiche delle vicende filmiche nelle loro evocazioni ambientali, innegabilmente influenzate dal naturalismo ottocentesco, dal verismo impressionistico, dai grandi del teatro russo e dal rivoluzionario Luigi Pirandello. Spicca subito il lavoro di Mario Chiari per Le notti bianche di Luchino Visconti, che desidera un’atmosfera posticcia come una quinta di teatro e per questo ricostruisce tutto nel Teatro 5 di Cinecittà. Questo film costituirà un unicum per tutti gli anni a venire, in quanto nemmeno i film di Federico Fellini, noti per essere ambientati in teatrini ricostruiti, sono stati interamente girati all’interno degli stessi. Notevoli anche gli apporti di Chiari alle ricche scenografie signorili del delizioso Fantasmi a Roma, agli spazi del capolavoro di Dino Risi Una vita difficile, al premiato Il giardino dei Finzi Contini e all’imponente Ludwig, oltre a Il favoloso dottor Dolittle, con cui ottiene la candidatura agli Oscar.
Si parla poi di Carlo Egidii, uno dei primi diplomati del Centro Sperimentale di Cinematografia, che matura al fianco di Giuseppe De Santis e Pietro Germi; di Gianni Polidori che arriva al successo con Bellissima; fino al Lorenzo Baraldi specializzato in set storici che emerge soprattutto con Mario Monicelli; Carlo Simi degli spaghetti western; Enrico Job, fidato scenografo della Wertmuller; Luciano Ricceri ed Ettore Scola, Andrea Crisanti e Francesco Rosi (ma anche Tarkovskij, Antonioni, Bellocchio, Damiani, Tornatore, Ozpetek, fino al capolavoro realizzato con i Taviani ne La masseria delle allodole), e il recente sodalizio tra Lino Fiorito e Paolo Sorrentino. In mezzo a tutti questi grandi, negli anni anche a livello internazionale, spiccano gli approfonditi nomi di Danilo Donati, Luigi Scaccianoce, Piero Gherardi, Ferdinando Scarfiotti e Dante Ferretti.
Gli ultimi due riescono ad esportare il loro incredibile talento. Scarfiotti, estroso autore degli ambienti art déco di Morte a Venezia e dell’esperienza de Il conformista, si trasferisce negli Stati Uniti dopo il successo di Ultimo tango a Parigi nel 1972. Il primo film che fa è American gigolò, per passare poi a Scarface, fino al maestoso L’ultimo imperatore. Dante Ferretti, quello più conosciuto, rinomato e premiato al mondo, si fa notare dapprima con Pier Paolo Pasolini e Federico Fellini, poi con Jean-Jacques Annaud e Terry Gilliam (per cui realizza la sua scenografia preferita, quella per il film Le avventure del barone di Münchausen); poi da quando Martin Scorsese lo vuole per L’età dell’innocenza instaura un lungo e fruttuoso sodalizio che non ha più avuto fine.
L’analisi della Martin prende poi in esame alcuni film: Cabiria, la pentalogia cameriniana dove si celebra la supremazia dello studio di quegli anni, il naturalismo descrittivo di Germania anno zero; l’Ulisse nelle mani di Flavio Mogherini; Il deserto rosso e Il Vangelo secondo Matteo (minuziosamente e creativamente realizzati da Piero Poletto e Luigi Scaccianoce); La dolce vita di Piero Gherardi con una Via Veneto ricostruita in studio a Cinecittà (precede la fase Danilo Donati della seconda, barocca fase della carriera di Fellini); fino a Mario Garbuglia e l’estenuante ricerca sfarzosa, magnificente e iconografica de Il Gattopardo.
Chiude il libro una breve intervista allo scenografo Francesco Frigeri, protagonista della metamorfosi della scenografia contemporanea italiana, noto per Non ci resta che piangere e per La leggenda del pianista sull’oceano, prodotto specchio della contaminazione con la tecnologia virtuale che parla di collage fra il preesistente e l’invenzione totale degli angoli scenografici, con maggiore gestionalità e molti meno rischi. Concepire un intero set, oggi, significa anche concepirlo con uno sguardo digitale, secondo Frigeri. Il nuovo lato progettuale delle risorse in campo. L’analisi frammentata, seppure ricca di elementi, messa a punto dalla saggista Sara Martin è certamente utile per un rapido excursus di un pezzo di arredamento di storia del cinema.
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