Chi
voleva la stepchild adoption, e non l’ha avuta, si consoli buttando
un occhio in campo avverso: quelli del Family Day sono incazzati
neri, soffrono come bestie ferite a morte. Certo, il diritto di piena
genitorialità concesso a entrambi i partner di una coppia omosessuale avrebbe dato
dignità di vero e proprio matrimonio all’istituto
dell’unione
civile, ma di fatto adesso due lesbiche e due gay sono famiglie, poi
al resto penserà la giurisprudenza, sentenza dopo sentenza. E certo, potrà
irritare che in Italia l’adeguamento
delle leggi ai mutamenti della società proceda con ritardi che
favoriscono la persistenza di grosse sacche di dissenso ad ogni
mutamento, sarà frustrante, senza dubbio, ma la pazienza è la virtù
dei forti, può darsi sia addirittura meglio che le cose si prendano il tempo necessario per farle digerire piano piano a chi ha stomaco delicatuccio. Chi
voleva la stepchild adoption, e non l’ha avuta, rifletta a quanto è
accaduto per la fecondazione assistita. Anche chi volentieri
l’avrebbe
dichiarata fuorilegge, perché il Catechismo la vieta, dapprima è stato costretto a concederla, accontentandosi di renderla un faticosissimo
percorso a ostacoli. Poi, uno dopo l’altro,
gli ostacoli sono venuti a cadere, e il cardinal Ruini è rimasto con
un pugno di mosche in mano. L’esperienza insegna: non farsi trascinare nella chiacchiera sui Grandi Sistemi, strappare pezzo a pezzo quello che si può strappare e poi produrre casi emblematici da portare in Cassazione, alla Consulta, a Strasburgo.
Ma
si consoli pure chi voleva che tutto rimanesse com’era,
che il ddl Cirinnà fosse ritirato in blocco, che fosse in questo modo
proclamato l’insuperabile
primato della famiglia tradizionale: l’Italia è omofoba da sempre, e per molto tempo ancora un ricchione resterà un ricchione, per molto
tempo ancora qualche dispettuccio glielo si potrà infliggere per
fargli capire che quel boa di struzzo fucsia è contronatura. Lo
stralcio della stepchild adoption è un bel premio di consolazione,
via, e poi non è stata una bella soddisfazione poter ripetere per
settimane, col sorrisetto obliquo sulle labbra, cui in sincrono il
sopracciglio andava perfettamente parallelo, che al gay l’utero manca? Certo, sarà uno schifo vedere due maschi tenersi per mano, sentirli dire che sono famiglia in forza di una legge che sovverte
la Legge, ma in fondo sarà un’occasione
per soffrire, e questo al cattolico-come-si-deve piace da morire.
Massima goduria, poi, soffrire in compagnia di chi ti fa soffrire,
perché non deve essere carino vederti scippata la stepchild adoption
e trovare a consolarti lo stesso Scalfarotto che fino a
due minuti prima giurava che si sarebbe fatto spellare vivo piuttosto
che rinunciarci.
Insomma,
via, Schadenfreude per tutti, e non se ne parli più. Tanto più che
di quanto era in questione col ddl Cirinnà non s’è
parlato troppo neppure quando si è fatto finta di discuterne, anzi,
di tutto si è discusso per non parlar di quello. E d’altronde
sarebbe stato inopportuno perché le unioni civili erano solo
un’occasione
per vedere in campo l’alta
politica di cui noi italiani siamo maestri insuperabili. Via, è
stata una gran bella partita, ottime regie, splendide
triangolazioni, fallacci micidiali, ma arbitro e guardalinee, com’è
giusto, hanno lasciato correre per non mortificare il gioco. E dunque
finte e controfinte, dribbling e contropiedi, meline e deviazioni in
calcio d’angolo,
entrate a gamba tesa e simulazioni di fallo, goal di tacco e
traversoni a perdersi sul fondo, spogliatoi nervosissimi e autogoal in mezza rovesciata, perché sia chiaro che non è la politica italiana a
vivere di metafora calcistica, è il calcio che cerca di imitarla,
quasi sempre offrendo uno spettacolo assai più piatto.