La registrazione della telefonata fra i due comandanti, troppo superficialmente definiti il “buono” ed il “cattivo” (http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=177392&sez=ITALIA ), mette in risalto la sconcertante debolezza umana, morale e professionale del Comandante della Costa Concordia. La conversazione, seppure con tutte le attenuanti derivanti dal contesto in cui si è svolta, denota che siamo in presenza di un individuo incapace di reagire al peso schiacciante degli eventi. Ma al di là dei risvolti penali che l’evento determinerà (attività complessa a cui dovrà provvedere la Magistratura inquirente e quella giudicante), la vicenda merita di essere sviscerata negli aspetti di tipo organizzativo, psicologico e sociologico.
Sotto l’aspetto organizzativo, è palese che l’assertivo ordine, impartito dal Comandante De Falco (il buono?), di risalire a bordo della nave, non aveva finalità di tipo funzionale. L’obiettivo concreto era, piuttosto, quello di ribadire al recalcitrante “fanciullo” (tale appare, per il tenore delle risposte, Schettino) che tornare sulla nave non era richiesto da una reale utilità organizzativa, ma da una sostanziale necessità “simbolica” di ripristinare l’indispensabile sensazione di sicurezza e di ordine nei confronti dei viaggiatori e dell’equipaggio. L’epopea marinara è piena, infatti, di episodi in cui comandanti coraggiosi, e soprattutto rispettosi del ruolo, hanno immolato la loro vita, in nome del rispetto assoluto del loro ruolo. E non di pura simbologia si tratta, peraltro. Sapere che al comando di una sofisticata e complessa organizzazione (una città in miniatura), c’è un uomo che condensa in sé doti di rigore, esperienza e fermezza è fondamentale per il funzionamento stesso di quella, come di qualsiasi altra organizzazione. Il discorso che si può fare per una grossa nave da crociera, può essere esteso, infatti, anche ad un’azienda delle dimensioni di EAV. Un uomo solo al comando, ho scritto recentemente, è, e deve essere, non solo un privilegio ricco di onori, per chi ricopre quel ruolo, ma anche un onere da vivere con abnegazione e nell’interesse generale.
Sulle navi da crociera, ma anche in altri contesti organizzativi, negli ultimi decenni il sistema di selezione dei comandanti ha stoltamente virato dalla sua opportuna rotta. Agli inizi della marineria mercantile, infatti, il Comandante veniva scelto per le sue indubbie doti professionali e per l’esperienza accumulata. Si arrivava a comandare una grande nave solo dopo anni di gavetta. Oggi, la scelta da parte delle compagnie punta su elementi diversi. Al comandante si richiede una grossa capacità di relazione, fascino estetico e savoir faire. Il comandante di una grossa nave deve, insomma, essere un “padrone di casa” che sappia intrattenere soprattutto la componente femminile. È prevalso lo stile “LOVE BOAT” a totale discapito dell’attenzione agli aspetti tecnici, organizzativi e di sicurezza. È classica, in ogni crociera, la gara fra le mature viaggiatrici ad essere invitate al tavolo del comandante o, meglio, a danzare con lui per suscitare l’invidia di tutte le altre. Così il Comandante si trasforma in un “damerino” che deve solleticare i bassi istinti delle clienti, contando sul fascino della divisa e sulla perenne abbronzatura. Accade, pure, che alcune croceriste incallite si facciano vanto di aver “consumato” uno o più incontri ravvicinati con i Comandanti (o con il Commissario di bordo, Secondo Ufficiale, ecc.), così come qualcuna di loro, con malcelato orgoglio, mi ha personalmente narrato. Tra l’altro il contesto generale in cui si svolgono le crociere, fatto di ambienti kitsch e giornate improntate al divertimento programmato, crea nei viaggiatori, ma anche nell’equipaggio, una fasulla sensazione di sicurezza totale che, peraltro, è solo virtuale. Come i fatti hanno dimostrato, infatti, si tratta di navi che per dimensioni e numero di persone a bordo sono sempre sottodimensionate in termini di sicurezza attiva e passiva. Gli spot pubblicitari che reclamizzano le crociere tralasciano di menzionare che esse si svolgono utilizzando navi, arredate sfarzosamente, ma senza doppio scafo e con scialuppe inaffondabili disponibili solo per la metà dei passeggeri.
Ma in sostanza quale è la lezione ricavabile in termini generali? I fatti dell’Isola del Giglio hanno dimostrato lacune organizzative, leggerezze professionali, carenze strutturali, imperizia e superficialità diffuse. Cominciando dallo show della nave in parata con il pappafico issato che transita a poche decine di metri da un’isola facente parte di una zona marina protetta, proseguendo con lastrana conversazione fra Schettino ed il Responsabile Sicurezza Costa (che gli chiede di non far partire il May Day), passando per la presenza a bordo di personale asiatico che non conosce l’italiano, per finire con le paratie stagne che hanno finito per intrappolare alcuni viaggiatori senza, peraltro, evitare l’affondamento della nave. Insomma, un disastro è sempre la somma di concause umane, tecniche ed organizzative. Individuare in Schettino l’unico responsabile è fuorviante. Le responsabilità del Comandante andranno stabilite ma senza prenderlo come capro espiatorio di un sistema che ha mostrato tutte le sue falle (non solo metaforiche, purtroppo).
La tragedia della Costa Concordia, insomma, deve diventare un utile case history negativo da studiare come dimostrazione plastica di quanto un’organizzazione sia un meccanismo delicato, in cui rispetto dei ruoli e delle normative sono elementi fondamentali per il suo corretto funzionamento. Troppo spesso, in questi anni, abbiamo assistito a manager, pubblici o privati, che hanno condotto la nave sugli scogli, uscendone quasi sempre personalmente indenni. Anzi, i fallimenti di aziende come Alitalia o Lehman Brothers hanno visto i comandanti incapaci premiati con buonuscite milionarie. Nel nostro piccolo, anche in EAV spesso si è scelta questa pratica che, non solo è moralmente inaccettabile, ma che finisce per essere essa stessa foriera di una disgregazione del sistema, riverberando a cascata, anche sui livelli inferiori, la generalizzata deresponsabilizzazione che ci portato ad incagliarci nelle secche del disastro economico.
Ciro Pastore – Il Signore degli Agnellihttp://golf-gentlemenonlyladiesforbidden.blogspot.com