A gennaio, da un amico/collega in aspettativa per motivi di studio, ho ricevuto una classe dove lui procedeva con il cosiddetto metodo "natura", vale a dire l'apprendimento della lingua antica attraverso un corso strutturato nella lingua stessa. In Italia, l'Accademia Vivarium Novum si occupa della pubblicazione dei volumi relativi ai corsi di Latino e Greco e di classici commentati, oltre che di importanti strumenti di lavoro.
Ovvero: io mi ero studiato il corso di greco (Athenaze), ma soltanto il primo volume e, come dire, per curiosità, senza reale impegno didattico. A conti fatti, direi che è stato un bene proprio così. Dopo aver passato le vacanze di Natale a capirci qualcosa di più ed essermi consultato con una preziosissima collega che ci lavora su da anni e anni (e a Palermo è molto più di un'istituzione, è una realtà), ora posso cominciare a tirare le fila di questi miei primi mesi.
Posto che, com'è ovvio, ho commesso diversi errori di cui ora mi pento, posto che forse in altra occasione potrei ricompierli, dunque che io non sono stato perfetto, anzi, direi che si tratta di un'esperienza più che positiva, anzi una sfida esaltante. Ma ecco, questo è proprio il primo problema: la sfida con sé stessi non è argomento didattico vincente. Voglio dire che, se imparare qualcosa di nuovo per me è irrinunciabile, questo non sempre si riflette in modo positivo, almeno non direttamente, sull'apprendimento dei miei alunni.
Il fatto che io possa avere scoperto un gioco nuovo, una nuova sfida, riguarda solo me, così come quando scopersi questi volumi (Athenaze e Familia Romana / Roma Aeterna), mi esaltai all'idea di tutte le cose che potevo impare e forse non avrei mai imparato senza. Ma sia il fatto che ora sono per questi aspetti un professore migliore di prima, sia l'entusiasmo che suscita questo metodo dovrebbero quanto meno combattere i pregiudizi che un po' di pigrizia trasforma in ostacoli all'apparenza insormontabili.
Ne cito solo uno, tra i più comuni, che caratterizzava anche uno dal carattere analitico come me: la metacognizione, ovvero l'apprendimento attraverso la consapevolezza di ciò che si va conoscendo (che so: la terza declinazione o l'aoristo passivo forte ecc.). Si tratta di etichette che noi docenti anteponiamo al fatto linguistico vero e proprio, spesso sia in fase di spiegazione (oggi si parla dell'ablativo assoluto), sia in fase di valutazione (però non hai riconosciuto il futuro perfetto).
Tutti e due, ovvio. Attraverso un autore apro una finestra su un'intera civiltà e la conoscenza di storia letteraria mi aiuta a capire come sia declinato quel latino rispetto alla storia della lingua e della cultura. Del resto, è anche vero che in greco ciò accade con più frequenza. Gli alunni che per la prima volta incontrano la lingua omerica (di norma, al terzo anno) rimangono sbalorditi dalla differenza rispetto alla prosa attica delle versioncine dell'eserciziario ed è solo allora che capiscono tutte quelle storie sui dialetti che lo scrupoloso insegnante del biennio ha provato a intavolare con loro.
Poi arrivano i "lirici", e via con altre forme di greco. Poi Erodoto, che ci somiglia molto, ma allunga molto le vocali come noi meridionali, poi finalmente Platone (che è simile a quello che hanno studiato, ma spesso difficilissimo) e Aristotele (concettualmente molto ostico, ma senz'altro meno impegnativo sul piano sintattico). In sostanza, il greco che si studia come grammatica è una manifestazione tardiva, e non più legata del tutto alla società delle poleis su cui i ragazzi si allenano a memoria.
Il metodo natura, quello che qui conosciamo per i libri del linguista danese Hans Henning Ørberg, offre subito la possibiltà di imparare un mucchio di cose, di impararle attraverso il lessico. È vero, verissimo, che il lessico non è la prima preoccupazione dei ragazzi, meno che mai il lessico italiano. Ma questo accade perché non conoscono sempre la relazione tra le cose e le parole: il fatto che con questo metodo arrivino alle cose e che poi a queste cose diano nomi è uno stimolo creativo e, in potenza, un modo per superare il gap culturale.
Per questo, negli ultimi tempi, ho sperimentato con insistenza un'interrogazione che prevede, nella sequenza, lettura (di ampi brani già lasciati per casa), prima contestualizzazione, poicommento, infine traduzione di una parte del brano letto, quella concettualmente più significativa. Se poi voglio accertare la comprensione grammaticale di una regola, formulo una domanda specifica al termine di questa sequenza (o, se proprio ci tengo, all'inizio, ma senza mai disturbare il processo cognitivo di avvicinamento al testo).
I ragazzi sanno che devono maturare una comprensione di brani, di una storia che si evolve, e che il docente e il libro sono strumenti a loro disposizione per affrontare questa sfida. La grammatica per parlare di cose, non delle parole e del loro funzionamento. Quando, invece, leggiamo il brano nuovo e incontriamo forme o costrutti più difficili per loro, sottolineo le tecniche per affrontare il brano e faccio ripetere, forse anche con eccessiva ostinazione, ciò che è fondamentale imparare a memoria per arrivare al risultato desiderato.
Perciò è importante che i libri di questo metodo facciano più che insegnare la lingua attraverso la lingua, ma raccontino una storia di capitolo in capitolo. E non si illudano: Lingua Latina per se illustrata e Athenazerichiedono più studio, non un'attenzione occasionale e presuntuosa. Se non è avvio allo studio letterario questo (da affiancare a corrette impostazioni della didattica dell'italiano e delle lingue straniere moderne), non so quale si possa definire così. Ma aspetto obiezioni e continuerò a rifletterci su.
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