Paul Aaron Scholes (16 novembre 1974) appartiene a quella generazione di calciatori leggendari che non si sono accontentati di “stracciare un’era” come intona De Gregori, ma ne hanno attraversate due, dagli anni ’90 ad oggi, praticamente un’eternità per i tempi del calcio.
A guardarlo bene Scholes non sembra un’atleta di livello eccelso, ma più un uomo d’altri tempi: stempiato, pettinatura da soldato della RAF del ’45, nessun tatuaggio in vista, cresta neanche a pensarci, sguardo severo, da duro, magari adatto a qualche pellicola d’autore.
Il numero 18 del Manchester United, nato alle porte della nota città industriale, è entrato nel mondo dei Red Devils a 17 anni e ci è rimasto fino allo scorso maggio del 2013, ben 22 anni a vestire la stessa maglia, mai un provvedimento disciplinare da parte della società, rari i cartellini rimediati, o altre bizze, sempre pronto ad ubbidire agli ordini di Sir Alex Ferguson. A dire la verità Scholes aveva deciso di ritirarsi, ma poi come spesso accade a campioni come lui, Romario, Henry, la tentazione del campo è forte, se poi a chiederlo è il tuo secondo padre, Sir Alex, credo sia difficile resistere, non c’è riuscito Jo Rambo e Silent Hero Scholes non è stato da meno. Sappiamo poi che i Britannici sono tradizionalisti, se ancora sono affezionati all’etichetta e alla famiglia reale, figuriamoci a vedere Scholes che realizza in campo ciò che Ferguson chiede dalla panchina. Il biondo del Manchester aveva deciso di mollare dopo la finale di Champions League persa contro gli extraterrestri del Barcelona, nel 2011. Dopo pochi mesi, però, Ferguson si accorge che Scholes non ha ancora eredi e può tornare utile ai compagni, necessitano di un uomo d’ordine. Il numero della nuova vita calcistica di Scholes è il 22 e inizia a gennaio 2012.
Silent Hero uomo di poche parole e capace di esprimersi con i fatti, mette a segno reti importanti già nelle prime partite. Grinta da vendere, grande cuore e, soprattutto, corsa; nonostante l’asma ha macinato più chilometri della Mc Laren di Hamilton. Sfortunatamente per i suoi avversari, Scholes era capace anche di far male, nonostante un fisico abbastanza esile, ha punito spesso con il suo tiro da fuori area, o beffato le difese con le sue incursioni, onnipresente. Ha avuto una carriera ricca di soddisfazioni con il suo club: 11 campionati, 3 Coppe d’Inghileterra, 7 Communitu Shield, 3 Coppe di Lega, 2 Champions League, 1 Coppa Intercontinentale e 1 Mondiale per Club. Con la Nazionale purtroppo non ha avuto la stessa gloria, si è dovuto accontentare del titolo Europeo Under-18, ma in compenso ha chiuso la carriera lo scorso anno vincendo la Premier League. A fine stagione ha abbandonato definitivamente, non aveva senso continuare dopo l’addio ai Red Devils del suo mentore.
Il fatto che sia soprannominato Silent Hero non deve far pensare che non si sia mai parlato di lui. La dichiarazione di stima maggiore l’ha ricevuta da Zidane che di lui ha detto che è stato l’avversario “più difficile da affrontare, il più grande mediano dell’ultima generazione”, ma anche Davids che ha sostenuto di non essere il miglior centrocampista, il primato spetta a Scholes al quale “ogni giocatore di questo ruolo si ispira”. Stima anche da parte di Lippi e Beckham “A Madrid tutti mi chiedevano com’è, tutti lo rispettano”, mentre per Laurent Blanc e Cesc Fabregas è semplicemente il miglior giocatore della Premier League. Tuttavia, non tutte le dichiarazioni che hanno riguardato Scholes sono state così tecniche, incentrate sul calciatore; altre hanno riguardato la sua sfera intima, alcuni hanno colto nel bacio al compagno Gary Neville più che un gesto d’affetto, un coming out della propria omosessualità, fenomeno a quanto pare importante nel calcio inglese. Di questo argomento è difficile parlare anche perché Silent Hero, mantenendo fede al suo soprannome, non parla. Di certo possiamo dire, parafrasando l’indimenticabile Tina Turner, che we…need an other hero, magari Silent Hero.