Scimmie Cattive

Creato il 19 ottobre 2015 da Elgraeco @HellGraeco

Perché, vedete, il problema, con questo romanzo di Matt Ruff, è scegliere la maniera in cui parlarne.
O scriverne.
E io ho scelto il modo informale: lasciarmi trascinare dall'emotività di una lettura freschissima, in ordine di tempo, eppure visionaria, dal momento che l'ho completata in treno, in cuccetta, mentre tornavo, nottetempo, alla casa d'origine.
Capite che, di allucinazioni, una trasferta sull'intercity notte ne può dare tantissime. Sono le migliori.
Libro dalla copertina gialla, nera e rossa: un pugno in un occhio.
Rielaborata infinite volte, fino a farla assomigliare a un'edizione di Alice nel Paese delle Meraviglie sotto metanfetamine.
Nascono, le Scimmie Cattive, dalla sordida cultura pop. Che trabocca di riferimenti ai dettagli perduti negli abissi degli Antichi Nerd, da cui si risveglierà la forza che ci abbatterà, piegando il mondo a oscure allusioni.
Ecco, Matt Ruff scava in quest'abisso e vi trova un dettaglio da cui scaturisce tutta la storia di Jane Charlotte, la protagonista:
Jane Charlotte, si chiamava così anche la sorella di Philip K. Dick, morta quand'era bambina, ci racconta Ruff, parlando di ispirazioni...

Omaggio, oscuro scrutare, mancanza di buon gusto?
Io la trovo un'idea geniale.
Jane Charlotte è sotto interrogatorio, di quelli duri, fatti da quel tipo di uffici federali da cui non esci se non hai in mano buone carte, o buoni avvocati: o entrambe le cose.
Chi la interroga vuole stabilire, evidentemente, se Jane Charlotte è schizofrenica.
Perché lei racconta una versione piuttosto singolare della propria vita:

lei appartiene a un'organizzazione supersegreta che ha come obiettivo primario ripulire il mondo.
Dalle scimmie cattive.
Ovvero da tutti coloro che perpetrano il male.
Non una società occulta di giustizieri mascherati, no. Ma un gruppo di gente che effettua calcoli precisi, ipotizza scenari, elabora strategie: per ammazzare i cattivi.

"Insomma, nel tuo lavoro con la Bad Monkeys, cos'è che fate? Punite la gente malvagia?".
"No. Di solito la uccidiamo e basta".
"E uccidere non è una punizione?".
"Lo è se lo fai per vendetta. Ma l'Organizzazione ha altri fini. Noi cerchiamo solo di fare del mondo un posto migliore".
"Uccidendo uomini malvagi?".
"Mica tutti".

Mi sembra perfetto.
D'altronde, qualcuno deve pur farlo.
Ma torniamo per un momento all'ispirazione.
Ruff stesso ha dichiarato che questo voleva essere il suo romanzo "dickiano". Doveva nascere da Philip K. Dick, letteralmente.
Ed ecco Jane Charlotte che è la nostra Alice, armata fin da bambina di una terribile pistola arancione che è in grado di causare, nelle vittime dei suoi colpi, emorragie, arresti cardiaci, ictus e aneurismi.
Morti naturali, insomma. Perché l'Organizzazione ama la segretezza.
Tutti i reparti di essa: come la Solo Occhi, che si occupa di raccolta informazioni e che ha tramutato, nel corso degli anni, tutti (o la maggior parte) gli occhi che vedete, sui cartoni del latte, sulle riviste, gli occhi delle top model dai cartelloni stradali, etc, in congegni di videosorveglianza.
Tutti i reparti amano la discrezione, eccetto uno, quello dei Clown dell'Orrore.
Che comprende agenti mascherati da clown che vanno in giro punire gli uomini malvagi facendo cose orribili, seminando prove, creando leggende metropolitane.
Uno degli agenti, qualche anno fa, s'è lasciato un po' prendere la mano: si chiamava John Wayne Gacy, si travestiva da pagliaccio.
È diventato uno dei più spietati e surreali serial killer di tutti i tempi.
Hanno dovuto eliminarlo.

E, oltre che da Dick, che è padre di quella teoria del Kipple da cui, secondo me, deriva tutta la cultura pop, me compreso, Bad Monkeys è un concentrato di allusioni, citazioni, mescolanza e disinformazione, che ci presenta una realtà parallela, sotto allucinogeni, spacciandocela per vera, convincendoci, magari, che l'insensatezza di ciò che vediamo, che ci circonda, ha in sé un significato ben noto e stabilito.
Fa tutto parte del piano.
Anche le cose brutte.
Soprattutto quelle.
Leggetelo.
E poi distruggetelo. (cit. Christopher Moore)


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