Sclerosi Multipla: studio italiano conferma la sicurezza della CCSVI

Creato il 26 agosto 2013 da Yellowflate @yellowflate

La prestigiosa rivista scientifica Journal of Vascular Surgery ha recentemente pubblicato lo studio Fattibilità e sicurezza del trattamento endovascolare per insufficienza venosa cronica cerebrospinale nei pazienti con sclerosi multipla” del team italiano del Dr. Tommaso Lupatelli che conferma la sostanziale sicurezza del trattamento di angioplastica dilatativa nella CCSVI.

Riportiamo di seguito la traduzione dell’abstract (a cura della Associazione CCSVI-SM) ed il commento allo studio dell’Osservatorio Permanante dell’Associazione.


Fattibilità e  sicurezza del trattamento endovascolare per insufficienza venosa cronica cerebrospinale nei pazienti con sclerosi multipla

Tommaso Lupattelli, MD,Giovanni Bellagamba, MD,Elena Righi, MD,Vincenzo Di Donna, MD,Isac Flaishman, MD,Rita Fazioli, MD,Francesco Garaci, MD andPaolo Onorati, MD,

Rome and Reggio Emilia, Italy

Obiettivo: L’insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI) è una sindrome scoperta di recente, principalmente causata  da stenosi delle vene giugulari interne (IJV) e / o della azygos (AZ). Il presente studio analizza retrospettivamente la fattibilità e la sicurezza del trattamento endovascolare per la  CCSVI in una coorte di pazienti con sclerosi multipla (SM).

Metodi: dal settembre 2010 allo ottobre 2012, 1.202 pazienti consecutivi sono stati reclutati  per  essere  sottoposti a flebografia ± trattamento endovascolare per CCSVI. Tutti i pazienti erano  precedentemente risultati  positivi al color Doppler (CDS) per almeno due criteri di Zamboni per la CCSVI e avevano avuto una diagnosi di SM confermata dal neurologo. Solo i pazienti con SM sintomatica sono stati considerati per il trattamento. L’angioplastica transluminale percutanea è stata effettuata in regime ambulatoriale presso due istituti diversi. Procedure primarie, considerate come prima angioplastica mai eseguita per CCSVI, e procedure secondarie (reintervento), considerati come interventi effettuati dopo ricorrenza di patologia venosa, sono state effettuate rispettivamente nel 86,5% (1037 su 1199) e nel 13,5% (162 su 1199) dei pazienti. Sono stati registrati i successi procedurali e le complicanze a 30 giorni.

Risultati: flebografia seguita da ricanalizzazione endovascolare è stata effettuata in 1999* pazienti per un totale di 1219 interventi. La sola angioplastica con palloncino  è stata eseguita  in  1205 su 1219 (98,9%) procedure, mentre l’ulteriore posizionamento di stent è stato richiesto nelle restanti 14 procedure (1,1%), dopo  tentativi falliti di dilatazione della AZ. Non sono stati mai impiantati stent nella IJV. Il tasso di fattibilità è stato di ben 99,2% (1.209 interventi). Le complicanze maggiori comprendevano  una (0,1%) rottura AZ verificatasi durante la dilatazione con palloncino con  necessità di trasfusione, una (0,1%) grave emorragia all’inguine con necessità di chirurgia aperta, due (0,2%) aperture chirurgiche della vena femorale comune per rimuovere frammenti di palloncino, e tre (0,2%) trombosi della  IJV sinistra. I tassi complessivi di complicanze maggiori e minori a  30 giorni sono stati rispettivamente 0,6% e 2,5%.

Conclusioni: Il trattamento endovascolare per CCSVI appare fattibile e sicuro. Tuttavia, una curva di apprendimento adeguata può ridurre drasticamente il tasso di eventi avversi. Nella nostra esperienza, la maggior parte delle complicanze si è verificata nei primi 400 casi eseguiti.

(J Vasc Surg 2013; 1-10.)

*Si tratta verosimilmente di un errore di stampa (visto che i pazienti reclutati sono 1202) da leggersi 1199 (n.d.t).


COMMENTO

Inquadramento generale dello studio.

Si tratta di un resoconto su una  serie di casi giunti consecutivamente alla osservazione del team nell’arco di due anni per eventuale trattamento endovascolare di insufficienza venosa cronica cerebro-spinale (CCSVI) mediante angioplastica percutanea transluminale (PTA).

La casistica è di ampie dimensioni, con 1202 pazienti arruolati allo studio in quanto positivi sia alla diagnosi di CCSVI con ecocolordoppler, sia  alla diagnosi di sclerosi multipla (SM) confermata  da  un neurologo.  La sola angioplastica è stata eseguita su 1185 pazienti; su altri 14 sono stati applicati anche stent (ma solo nella vena azygos), per un totale di 1199 pazienti. In tre casi la venografia non ha confermato la diagnosi sonologica per cui non è stato eseguito il trattamento.

La serie di casi è  stata analizzata dal punto di vista  della fattibilità e della  sicurezza (sicurezza in corso di intervento ed entro i 30 giorni dal trattamento). La conclusione degli autori è che la procedura  è fattibile e sicura e che una adeguata esperienza  può drasticamente ridurre il tasso di effetti avversi.

Come chiaramente risulta dalla impostazione del lavoro  e dagli scopi dichiarati, è opportuno sottolineare che questo studio non si pone l’ obiettivo di analizzare:

  • la  correlazione tra CCSVI sonologicamente diagnosticata e SM: non c’è un gruppo di controllo di soggetti sani e/o affetti da altre malattie neurologiche  e non ci sono procedure in cieco;
  • la correlazione tra CCSVI diagnosticata con venografia con catetere e SM (altri autori hanno confrontato le venografie di soggetti con SM  con  quelle di soggetti sottoposti a venografia per altre patologie);
  • gli effetti avversi a medio e lungo termine dell’intervento;
  • l’efficacia clinica del trattamento: per quanto si affermi che i pazienti venivano sottoposti a raccolta di dati anamnestici, a test di valutazione delle menomazioni cognitive (Mini Mental State Examination: MMSE) e della disabilità generale  (Espanded Disability Status Scale: EDSS), non vi sono dati di monitoraggio neurologico nel tempo che consentano di affermare se i pazienti abbiano tratto o meno giovamento dal trattamento.

Aspetti di particolare interesse.

Si tratta della casistica più ampia ad oggi pubblicata, che va ad aggiungersi ai maggiori studi di sicurezza pubblicati dal 2010 ad oggi (Ludyga T et al, 2010; Zarebinski M et al., 2011; Petrov I et al., 2011; Magnano, 2012; Mandato KD et al., 2012) ed ai molti altri di minori dimensioni che si sono susseguiti nel tempo, tutti convergenti nell’affermare la sostanziale sicurezza della PTA nella CCSVI. Abbiamo ora una ulteriore conferma che aiuta a porre fine a taluni allarmismi  sulla pericolosità della PTA nella CCSVI.

Le prevalenze di affetti avversi  sono mediamente alquanto più basse di quanto sin’ora pubblicato se riferite ai primi 400 casi,  e  sorprendentemente molto più basse se valutate sul gruppo dei casi oltre il quattrocentesimo. Su questa base viene individuato, nell’esperienza degli autori,  un cut off di 400 interventi come livello oltre il quale si è realizzata  una consistente riduzione degli effetti avversi. Si tratta di un utile contributo che non era pervenuto dagli studi preesistenti.

Viene descritta dettagliatamente la procedura tecnica e assistenziale messa in atto, con ricchezza di  particolari che gli specialisti del ramo troveranno  di sicuro interesse. Tra l’altro  si segnala  l’azzeramento delle trombosi a breve termine (3 casi, tutti entro i primi 112 pazienti trattati) a seguito del prolungamento del periodo di somministrazione dell’eparina da 15 a 40 giorni dopo l’intervento. Sarebbe molto utile che fossero ulteriormente precisate quelle differenze operative, rispetto agli studi pubblicati da altri gruppi, che hanno consentito l’eclatante risultato di azzerare (dopo il periodo iniziale) gli effetti avversi maggiori e di rendere prossimi alla zero anche quelli  minori.

Viene eseguita una analisi  della “fattibilità” della procedura, introducendo criteri di definizione di “successo procedurale” e di “successo tecnico” che possono essere utili nella valutazione di qualità dell’operato dei diversi gruppi operativi. Nei lavori di altri autori non era stata analizzata la “fattibilità” distinta  dalla “sicurezza”, forse dando la “fattibilità” in un certo senso per “scontata”.

Riflessioni e interrogativi sollevati dallo studio

Recenti contributi  suggeriscono l’ipotesi che esista uno “zoccolo duro” di pazienti (che potrebbe raggiungere il 25-30% ) che non trae alcun giovamento dalla PTA in quanto verosimilmente portatori di anomalie non trattabili con quella tecnica (compressioni estrinseche, inversione dei lembi valvolari, agenesie, ipoplasie etc., stenosi dell’ostio giugulare, etc) .  Nello studio in questione  la  PTA è stata eseguita sostanzialmente sulla  totalità dei soggetti esaminati (1199/1202), con esclusione di soli tre casi risultati negativi alla venografia. Anche in questo studio, come per altri, rimane un interrogativo: su un insieme così numeroso di  pazienti non vi erano casi di vene giugulari interne con anomalie per le quali non è opportuno ricorrere  alla PTA ma eventualmente a altri tipi di trattamento?

La dimensione della casistica presentata consentirebbe agevolmente una analisi statistica più articolata, ad esempio per età e durata di malattia in relazione ad indici di gravità della CCSVI e/o  per forma di malattia in relazione alla gravità della CCSVI e alla sede delle lesioni venose; il che contribuirebbe a districare discusse questioni sui nessi cronologici tra CCSVI ed SM (le anomalie venose sono presenti in fase precoce o compaiono e si accentuano col progredire della SM? Sono più in rapporto con l’età o con la durata di malattia?) e sui nessi topografici (la forma di SM ha qualche rapporto con il tipo di vaso colpito?). Inoltre, visto che i pazienti sono stati sottoposti a test neurologici di uso consolidato e di semplice somministrazione (MMSE, EDSS), meriterebbe verificare l’andamento degli stessi nel tempo. In casistiche così ampie anche un disegno dello studio “in aperto” può dare utili informazioni sulle sfere funzionali più sensibili agli effetti del trattamento.

Per una trattamento ancora da considerarsi in fase sperimentale, l’ampiezza della casistica è eticamente sostenibile se, oltre a dare al paziente una opportunità di scelta terapeutica basata su una rigorosa  informazione ai fini del consenso, vi è anche un ritorno scientifico di adeguato rilievo.

In merito alla dichiarazione di conflitto di interesse, in generale  parrebbe  più opportuno che fosse segnalata una attività a pagamento (vuoi in “intra moenia”, che in privato accreditato o non) relativa al  trattamento endovascolare della CCSVI.

Tra gli interrogativi che la ricerca si sta ponendo nella fase attuale, oltre a quelli fondamentali e non ancora completamente risolti sul tipo di relazione che lega la CCSVI alla SM e sulla  efficacia clinica dell’intervento, vi  sono anche quelli relativi alle metodiche  diagnostiche per l’individuazione delle anomalie non trattabili con  PTA, all’affinamento delle tecniche di intervento per la riduzione del tasso di restenosi,  alla valutazione dei risultati dell’intervento dal punto di vista  emodinamico complessivo  del ritorno venoso cerebrale e della perfusione cerebrale. Confidiamo che da una casistica così ampia gli Autori possano trarre e fornire alla comunità scientifica e ai pazienti ulteriori  contributi, utili a dar risposta ai diversi  interrogativi attualmente sul tappeto, oltre a quelli, pur importanti, della sola sicurezza del trattamento.

Fonte: Associazione CCSVI nella Sclerosi Multipla Onlus

http://ccsvi-sm.org/?q=node%2F1851



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