diventare terreno di stile
manifestare qualche specie
evocare cratofanie quotidiane
intensificare la libertà
rendere solido il tema ev
Fonetica accanita delle formulazioni
Noi sappiamo anche questo: che il comportamento di una natura così intesa, e così attesa, è ben lontana dall’essere descritta nel suo processo e nei suoi rapporti. A questo riguardo la letteratura psicologica, e ogni scienza che tenti applicarvisi, vittime come sono di un’estenuante consuetudine umanistica, si trovano ancora a uno stadio preistorico. Ma tocca alle manifestazioni, espressive, all’arte attiva, operare come libera sconfinata lacerazione, come cieca autonomia (questa cecità! Ricordiamo le grandi intuizioni del misticismo medievale, secentesco, indiano) fondare i presupposti di un vario lessico, o di un sillabario la cui fonetica accanita sia la formulazione aperta su tutte le direzioni, da tutte le direzioni, in tutte le direzioni. La mente umana nella sua parte più coraggiosa, non ha mancato mai il grande tentativo di liberarsi dell’ostinata presunzione socratica e umanista: quella secondo cui tutto che attraversa l’apparatus razionale diventi, sic e per questo, ragione, razionalità, ragionevolezza; così venendo a togliere alla mente le sue facoltà diafaniche, la sua grandiosa trasparenza. Come la ragione così anche l’arte tenta di liberarsi dalla presunzione analogica: cioè che tutto quanto passa per l’apparatus figurativo diventi subito e naturalmente, figurazione, mimesi; quella presunzione per cui essa tende a ricostruire il mondo oggettivo come un teatro finito.
Emilio Villa, Attributi dell’arte odierna 1947/1967 p.52, Le Lettere, Firenze 2008
nudo trasalimento dell’atto
Una prospettiva divenuta convenzionale e che risale almeno alle prime metafore antropologiche del Vico, ci ha tramandato lo schema di un uomo primordiale, che ha come fondamento della sua esistenza, una manifestazione di carattere nevrotico, su cui si sarebbero articolate tutte le sue funzioni: la paura; quella dell’uomo investito dal terrore tremante e fuggitivo, un Caino allo sbaraglio, in climi torbidi, nebulosi, e perniciosi. Comunque si voglia chiamare quella paura “paura dell’essere al mondo” o “angoscia primaria”, fonte dell’esperienza; oppure, naturalisticamente, esperienza drammatica delle avversità naturali, paura della bestia, oppure paura psicologica di morire, e panico senso della precarietà della vita, non si può ritenerla una manifestazione di psicopatia originaria e generale dell’uomo remotissimo. Disorientamento psichico e ansia, motivata o inesplicabile, sono germinazioni di un phatos storico e psicologico, in condizione riflessa sia dell’uomo colto che del l’uomo allo stato etnografico attuale. L’iniziativa dell’uomo primordiale, a giudicare delle sue concrete manifestazioni, non si rivela proprio come difensiva; ma anzi del tutto offensiva: il coltello di silice, il bastone da scavo, il primo cuneo che gronda sangue o stride sulla pietra, l’ingegnoso meccanismo del propulsore, sono strumenti per aggredire, uccide, non per difendersi. Uccide è un’esperienza assoluta del primo vivente; è il primum, uccidere come ferire, entrare, penetrare, estrarre, sviscerare, espellere. Nelle testimonianze immaginarie attive dell’uomo, l’atto di uccidere appare legato agli impulsi primari della fecondità. Come ogni atto primario, l’atto ripetuto, intensificato, si istituisce in rito e conseguentemente in culto (…) Il culto non sarà da definire la “cultura più antica” (Van Der Leeuw), ma la prima esperienza integrale e integrativa, sbocciata sviluppata maturata come fioritura ideologica nello sforzo di conservare all’atto, nudo trasalimento, la sua naturalezza, la sua resistenza (…) Il sacrificio, fonte espressiva, è preesistente in tutto alla distinzione di sacro e profano, alla separazione di divino e umano, che sono separazioni già esperte e riflesse, già in qualche senso culturalizzate, religiosizzate o specializzate. Il sacrificio è emissione violenta, espulsione violentemente provocata da uno strumento, di energia: energia dell’uomo per l’uomo, come esercitazione della unità misteriosa che appunto il fondamento del reale, al di qua della distinzione tra uomo e divinità. Come traversamento di energia il sacrificio è perequare, ristabilire equilibri di energia minacciati dal loro stesso dinamismo.
Emilio Villa, L’arte dell’uomo primitivo, p. 23 Abscondida, Milano 2005
vidi Il punto equipollente