Tre tombe micenee inviolate, databili tra il XV e l’XI a.C., con corredi funerari comprendenti elaborate ceramiche e preziosi oggetti d’ornamento, e i resti di un abitato preistorico, fondato verosimilmente alla fine del III millennio a.C., sono stati riportati alla luce presso Eghion, in Grecia, dagli archeologi dell’Università di Udine. Il ritrovamento è avvenuto nel sito protostorico della Trapezà, nella regione dell’Acaia, durante l’esplorazione della necropoli micenea individuata recentemente dai ricercatori dell’Ateneo friulano.
«Sono ritrovamenti di inestimabile valore scientifico» afferma Elisabetta Borgna, professore di Archeologia egea all’Università di Udine e coordinatrice del gruppo italiano che partecipa alla missione archeologica internazionale nel sito della Trapezà, diretta da Andreas Vordos, nell’ambito di un progetto di ricerca del Ministero della cultura greco.
La missione, giunta alla quarta campagna, è sostenuta dall’Institute for Aegean Prehistory di Philadelphia (Stati Uniti), dalla Società per la ricerca dell’antica Rhypikìs di Eghion (Grecia), dalla A.G. Leventis Foundation (Repubblica di Cipro) e della Scuola di specializzazione interateneo in Beni archeologici (Udine, Trieste e Venezia).
Le prime indagini nelle tombe, del tipo “a camera” (cioè scavate in un pendio e costituite da un corridoio d’accesso e una camera funeraria), hanno riportato alla luce l’imbocco di sepolture inviolate, con ingressi murati da massicci blocchi di roccia e rivestimenti in ghiaie compatte. Le due camere funerarie finora parzialmente investigate hanno restituito ricchi corredi, comprendenti elaborate ceramiche e oggetti d’ornamento insieme a resti umani.
Il ritrovamento di alcune nicchie scavate lungo le pareti dei corridoi d’accesso ha rivelato l’abitudine di mettere da parte, dando loro una degna collocazione, i resti delle sepolture più antiche in occasione della riapertura e del riuso dei sepolcri. Nei riempimenti dei lunghi corridoi delle tombe e nelle aree antistanti i sepolcri gli archeologi hanno trovato tracce di deposizioni di armi in ferro e di vasi, testimonianza di ripetute attività di culto in onore degli antenati che vennero svolte a partire dalla definitiva chiusura delle tombe fino al periodo arcaico e classico (VI e IV a.C.), quando il sito, parte della città achea di Rhypes, ebbe particolare importanza, testimoniata dalla presenza di un imponente tempio.
«Si tratta di strutture funerarie di tipo familiare – spiega Borgna –, utilizzate a lungo nell’età micenea, ossia dal periodo che precede la fondazione dei palazzi di Micene e Tirinto, fino alla crisi della civiltà micenea, alla fine dell’età del bronzo e alla transizione all’età del ferro (XV-XI a.C. circa)». Alcuni dei materiali rinvenuti consentono di far luce sugli intensi rapporti culturali che legarono il Peloponneso occidentale alle regioni del Mediterraneo orientale, in particolare l’isola di Cipro, soprattutto negli ultimi secoli dell’età del bronzo. «Gli oggetti ritrovati – sottolinea Borgna – testimoniano l’importantissima funzione della regione achea e del mar di Patrasso nel passaggio di elementi culturali che influenzarono in maniera significativa l’Adriatico settentrionale, dal delta del Po fino al Friuli, tra XII e XI a C.».
L’antichissimo abitato ospitava, con tutta probabilità, le genti che seppellivano i propri morti nella necropoli. Da un primo esame dei materiali raccolti, il villaggio sembra aver avuto vita a partire da fasi molto antiche della protostoria (fine III - inizi II millennio a.C.) per continuare durante il periodo miceneo, nella tarda età del bronzo (XI a.C.). «Tra le ceramiche trovate – spiega Borgna – risaltano alcuni frammenti collegabili a una produzione di tipo “adriatico”, attestata nell’area balcanica costiera e fino alle grotte del Carso triestino».
L’esplorazione della necropoli della Trapezà, in un’area collinare vicino alla costa sul Mar di Corinto, è particolarmente difficoltosa perché, diversamente da quanto riscontrato in altre regioni della Grecia micenea, le tombe non sono state scavate nella roccia tenera, ma si trovano nelle sabbie che costituiscono il substrato della zona. «Così – spiega la professoressa Borgna –, per quanto coese e compatte, le sepolture non hanno resistito al passare dei secoli: le camere sono per lo più crollate e, anche quando sono inviolate e discretamente conservate, costringono l’archeologo a un paziente e arduo lavoro di riconoscimento e recupero».
Gli archeologi dell’Università di Udine stanno pertanto sperimentando metodi e tecniche di individuazione, recupero e valorizzazione nell’ambito di un progetto pilota, che intende creare le premesse per indagini approfondite dei paesaggi funerari nell’ambito dell’Acaia centrale.
Agli scavi di quest’anno hanno partecipato studenti degli atenei di Udine e Trieste, specializzandi e dottorandi (Ioannis Dimakis, Agata Licciardello, Assunta Mercogliano, Anna Nardini, Giacomo Vinci) il geoarcheologo Gaspare De Angeli, e l’architetto Nils Hellner, dell’Istituto archeologico germanico di Atene.
Fonte: Archeorivista