Ricordate Jurassic Park, il film del 1993 diretto da Steven Spielberg nel quale, grazie alla tecnica della clonazione, i dinosauri sono tornati in vita? Ebbene, è di qualche giorno fa la notizia che alcuni scienziati russi hanno scoperto tracce di sangue nella carcassa di un mammut lanoso ritrovato su un’isola del Mar Glaciale Artico.
Una spedizione guidata da scienziati russi all’inizio dell’aprile scorso si è imbattuta nel corpo ben conservato di una femmina di mammut, su una remota isola del Mar Glaciale Artico. Il capo della spedizione, Semyon Grigoryev, ha affermato che l’animale è morto all’età di circa 60 anni, ben 10- 15.000 anni fa, e che è la prima volta che viene ritrovato un esemplare femmina di età così avanzata.
Con il termine mammut si intendono varie specie di grossi proboscidati estinti, strettamente imparentati con gli odierni elefanti, caratterizzati da lunghe zanne ricurve, lunghe anche fino a 5 metri e, nelle specie settentrionali, da un lungo vello che ne ricopriva il corpo, come nel caso del ritrovamento attuale. A partire dal 1999, alcuni scienziati russi e giapponesi lavorano ad un ambizioso progetto che ha come scopo la clonazione del mammut, in particolare l’equipe guidata dal professor Akira Intari, della School of Biology-Oriented Science and Technology della Kinki University di Osaka, spera di riuscire a clonare un mammut lanoso prelevando del dna intatto dagli esemplari rinvenuti congelati nel permafrost nel corso degli ultimi anni, dove per permafrost si intende una zona il cui suolo è perennemente ghiacciato.
L’eventuale estrazione di una cellula sana permetterebbe il suo inserimento nell’ovocita di un elefante indiano, la specie vivente più simile al mammut, dal quale si svilupperebbe poi un embrione che posto nell’utero dell’elefantessa tramite inseminazione artificiale, porterebbe alla nascita, salvo complicazioni e dopo una gestazione di 22 mesi, di un piccolo di mammut. Tuttavia, l’eventuale esemplare generato sarebbe comunque geneticamente un ibrido fra due specie, poiché nonostante la differenza genetica fra mammut ed elefante indiano sia solo del 5 per cento, l’animale clonato con questa tecnica avrebbe un patrimonio genetico costruito dal dna nucleare degli antichi mammut, e il dna mitocondriale dell’elefante indiano.
“Quando abbiamo rotto il ghiaccio sotto il suo stomaco, c’erano tracce di sangue” ha dichiarato Grigoryev. E ancora ha aggiunto: ”Questo è il caso più sorprendente in tutta la mia vita. Come è stato possibile che il sangue si sia conservato allo stato liquido? Ed il tessuto muscolare è rosso, il colore della carne fresca”.
Mentre intimamente rivolgiamo la domanda a lui, dobbiamo pensare che la parte inferiore della carcassa è stata molto ben conservata perché è finita in una pozza d’acqua che l’ha subito congelata. La parte superiore del corpo invece, schiena e testa comprese, pare sia stata divorata dai predatori e quindi è diventata uno scheletro. “Questa scoperta ci dà buone possibilità di trovare cellule vive che possano aiutarci a realizzare questo progetto di clonazione del mammut” ha concluso Grigoryev.
Tutti abbiamo visto in questi giorni la foto del ricercatore che a Yakutsk canta vittoria tenendo in mano una fiala e sostenendo contenga sangue di mammut. Gli studi e gli esperimenti saranno ancora lunghi, anche se alcuni scienziati stanno già cercando di individuare l’habitat ideale per potere poi inserire questi eventuali”mammut rinati”. Si ipotizza di farli vivere in zone della Siberia o del Canada dove il clima è più adatto, creando parchi tematici o renderli attrazioni da zoo.
Anche a Jurassic Park avevano creato un parco divertimenti, e tutti abbiamo visto ciò che è accaduto. Nonostante fosse solo un film, forse è servito da monito. Soprattutto, pensando alla qualità di vita che potrebbero avere questi animali, e sapendo che essi sono estinti, per la prima volta da quando appoggiamo il progresso, siamo incerti. Forse, per una volta, sarebbe più confortante mantenere lo status quo.
Written by Cristina Biolcati