Scoppiera’ la luce

Creato il 14 novembre 2012 da Dallomoantonella

“Venuto al mondo”  non  è una storia qualsiasi.

Quando l’ho visto, ho lasciato la sala non poco frastornata. C’erano molti presenti, qualcuno aveva pianto, più che altro le donne, uno vicino a me sentivo diceva  “Bello”, ma sono certa  non capisse l’implicazione di quel giudizio.  Credo che la maggioranza degli  spettatori l’abbia trovato semplicemente una storia assurda e violenta così come è assurda e violenta la guerra.

Come dire: “Fatti così possono accadere solo in certe situazioni estreme”, ma  noi viviamo in un mondo normale, dove le regole esistono e la violenza contro l’umanità non può succedere.

Non è proprio così.

Cerchiamo di sciogliere l’intricato nodo di questa matassa aggrovigliata.

C’è una coppia giovane, bella e innamorata. Gemma e Diego.

Che fortuna, si può subito pensare.

Però c’è un però ( pareva strano che le cose potessero andare tutte lisce…).

Lei è italiana, non può avere figli, è sterile, e non possono nemmeno adottarli, perché lui, di origine americana, ha precedenti di droga (del tutto episodici) e lei ha già vissuto un divorzio.

Per pura circostanza  o forse non proprio per pura casualità  vanno a  fare un viaggio  in  Iugoslavia, dove già erano stati e si erano conosciuti ed avevano lasciato degli amici.  Artisti, scrittori, musicanti e giocolieri….Sono gli anni terribili  che vedranno di lì a poco cadere il paese in una ferocissima guerra civile, di cui  loro ancora non immaginano nulla.

Ci sono varie  etnie, cattolici e musulmani mescolati a   bosniaci, sloveni, croati, serbi, montenegrini, macedoni, albanesi e ortodossi, tutti che si odiano. La parte prevaricatrice  arriverà a compiere crimini contro l’umanità verso la parte soccombente. E tutto questo in pieno centro Europa e sotto gli occhi impassibili  e distratti  di tutti gli altri paesi vicini e lontani. Storia di qualche decennio scorso, non di secoli fa. 1992.

L’orrore urla al cielo  fino a che questo scandalo   potrà avere il suo epilogo.

La nostra piccola storia dentro questa storia gigante  assume contorni  sempre più oscuri e complessi,  che si disvelano allo spettatore come al lettore,  passo dopo passo, pagina dopo pagina, a sorpresa, creando un effetto domino.

L’idea iniziale dei due giovani protagonisti è quello di andare da un medico e di predisporre una inseminazione artificiale dentro il grembo di una terza donna, Aska, una promettente cantante   che si è resa disponibile, ovviamente per una questione di denaro. Vuole fuggire dal suo paese e andare altrove a fare fortuna.

La faccenda andrebbe così se non fosse che scoppia nel frattempo il conflitto e la gestione di questa procedura salta. Non solo salta  la procedura medica ma anche qualunque progetto normale  di vita.

Per il momento  non rimane che l’atto naturale, quello che per ovvie ragioni   la giovane donna innamorata e gelosa non avrebbe voluto permettere.

Nel nome di un sogno che si ritiene assoluto e non modificabile, si accetta il sacrificio, si accetta l’intrusione, si accetta il rischio di mettere tra le braccia di un’altra il proprio sposo, il proprio tesoro.

L’evento sta per accadere , anzi accade proprio, perché ci vediamo in scena   senza notizie aggiuntive e specifiche   la terza persona di questo singolare triangolo, incinta, assistita dal compagno  che l’aiuta a proteggersi, a ripararsi dall’infuriare delle bombe e dai tiri dei cecchini.

Il ventre della gestante   cresce di pari passo della disperata gelosia di Gemma   che vede il proprio sposo (non sono di fatto sposati ma è come se lo fossero)  sempre più distante  per stare accanto a quel figlio che deve venire al mondo.

E viene al mondo.

Nasce un bel maschio sano e urlante,  in un giorno ordinario di guerra tra le macerie desolate di Sarajevo.

C’è una donna affranta che l’ha partorito. Intorno a lei, due uomini , il padre presunto con l’amico  e una donna  che  ha  assistito  al parto tra le lacrime.  Ricorda   una scena biblica. È nato un bambino innocente, Pietro, per salvare il mondo dalla sua ferocia,  e questo bambino deve essere protetto e portato in salvo.

La madre naturale dice di non volerlo, e lo offre all’altra. Ha  lo sguardo di una morta. Forse è viva solo perché il cuore le batte, ma lei non lo sente.

L’altra lo prende, dietro il pagamento della merce promessa, e si precipita all’imbarco, seguita dal compagno.

Dovrebbero salire sul veivolo militare  entrambi,  ma Diego   rimane a terra. Ha perso il proprio passaporto.

Lei arriva in Italia distrutta e disorientata, con questo fagottino in braccio, a cui non può offrire il proprio seno perché asciutto come un pozzo vuoto e secco. In memoria del fatto che non è la vera madre, che quel bambino è stato portato via alla sua madre  genetica, che però l’ha ceduto volontariamente e coscientemente.

La nota un giovane intendente militare  che le presta soccorso.

Tornata a casa, dopo poco tempo viene a sapere della morte accidentale del compagno, dichiarato precipitato da uno scoglio.

Il militare che l’aveva assistita nel suo rientro  in Italia diventerà il suo nuovo compagno e il padre effettivo del bimbo.

La storia sembrerebbe finita, ma deve ancora arrivare il bello.

Ci sono due storie dentro questa vicenda di macro umanità. No, ci sono tante storie, anche le nostre a ben guardare…

Improvvisamente  scopriamo che  il piccolo Pietro,   venuto al mondo in un terribile orribile e sciagurato giorno di guerra,  è esso stesso frutto della guerra.  La nostra promettente musicista non è rimasta gravida in un momento di mercificazione volontaria  del proprio corpo, ma in un momento di violenza inaudita ad opera di un gruppo di animali miliziani  che dopo averla oltraggiata   ne fanno preda di conquista.

L’amante  disatteso  le era rimasto accanto per andarla a salvare.  Un fiume di denaro in cambio della sua liberazione, ridotta a schiava dentro un bordello per i soldati.

E la sua morte accidentale si scoprirà essere stata un suicidio.  Troppo orrore e troppa violenza, ma soprattutto troppa solitudine,  possono portare alla depressione, alla rinuncia a vivere.

Lui stesso fu obbligato ad assistere impotente e clandestino  alla scena  dello strazio. Non aveva potuto intervenire, perché sarebbe significato   una morte certa e inutile. No, diciamola  meglio: rimase nascosto come un codardo immobilizzato dal terrore,  puro e sano  terrore  che ci protegge dalla distruzione.  Istinto di sopravvivenza.

E poi scopriamo che nel frattempo  Aska   andrà a  sposarsi   con l’amico che aveva anch’esso assistito al parto e che le darà un nuovo figlio, una bambina, questa volta tutta sua.

La donna che aveva dichiarato in tempi normali e non sospetti di provare schifo per la famiglia, si accorge  che solo una famiglia avrebbe potuto salvarla dalla desolazione, le avrebbe permesso di sconfiggere il ricordo di quella insanabile ferita.

Però  fratello e sorella stanno vivendo così,  separati e ignari l’uno dell’altro.

Troppo grande il desiderio di farli incontrare e conoscere. Di poterlo lei stessa vedere per una sola volta in volto, negli occhi, il suo “Non so come si chiama”. Magari potergli dare una semplice carezza.

Si organizza una rimpatriata, alle spese dell’inconsapevole madre adottiva  che non conosce ancora la verità e che ha vissuto tanti anni nel rimprovero d’essere stata una inefficace  compagna.

La famiglia tutta si ritrova.

Non c’è più la guerra.

C’è un meraviglioso sole, c’è il mare, c’è la voglia di vivere e di perdere la memoria.

Ci sono due  ragazzi  che si sorridono e ancora non sanno  d’essere fratelli.

C’è un padre mai diventato padre, rimasto vivo nella carne di chi lo ha amato, e un padre  che lo è diventato di fatto,   per pura coincidenza.

Una madre dal ventre sterile che ha coronato il suo sogno di maternità.

Un’altra madre diventata tale due volte,  i cui figli abitano due vite separate e lontane,  non comunicanti.

E c’è la vita che pulsa, pulsa, pulsa, dentro nei nostri cuori, come un martello a percussione  il cui ritmo accelera, accelera, accelera sempre di più.

Fino a che scoppierà.

Scoppierà la luce.

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