Scoppiettante Mercurio

Creato il 03 aprile 2014 da Media Inaf

Giambologna, Mercurio alato, XVI sec. Crediti: Wikimedia Commons

Chi l’avrebbe mai detto che sotto l’apparentemente calma superficie di Mercurio si siano un tempo agitate crepitanti esplosioni vulcaniche? È l’ultima scoperta di un gruppo di ricerca della Brown University, che analizzando il pianeta più interno del Sistema solare ha trovato tracce di un’attività intensa e sorprendente. Questo vulcanismo inaspettato potrebbe cambiare notevolmente la nostra comprensione della storia di Mercurio e della sua formazione.

La prima cosa che viene spontanea fare è un confronto con l’unica attività vulcanica che conosciamo bene, quella terrestre: da noi le esplosioni vulcaniche avvengono perché l’interno del nostro pianeta è ricco di elementi volatili, come acqua o diossido di carbonio. Non appena la lava emerge verso la superficie del pianeta, gli elementi volatili al suo interno passano dallo stato liquido a quello gassoso, espandendosi. Ed è proprio questa espansione la responsabile delle eruzioni vulcaniche, che avvengono quando la pressione è talmente alta da rompere la crosta terrestre. Proprio come un palloncino che scoppia perché è stato gonfiato troppo.

Si pensava che tutto ciò su Mercurio non potesse accadere: nel suo terreno arido non era mai stata trovata traccia di elementi volatili, e per questo si escluse qualunque possibilità di attività vulcanica. Fino al 2008, quando la sonda MESSENGER della NASA fece il suo primo atterraggio sulla superficie del pianeta: le sue osservazioni rilevarono la presenza di ceneri piroclastiche, un chiaro segno di vulcanismo esplosivo.

Com’era possibile? Di quella presunta attività vulcanica non vi era più traccia: dove erano finiti gli elementi volatili responsabili delle esplosioni? Si erano dispersi nelle prime fasi della vita di Mercurio?

Per anni non è stato possibile trovare una risposta a queste domande, e così non si riuscì mai a confermare con sicurezza l’attività vulcanica sul primo pianeta del Sistema solare. Fino a oggi: lo studio condotto dal gruppo della Brown University, pubblicato sul Journal of Geophysical Research: Planets, trova finalmente conferma della passata presenza dei famosi elementi volatili responsabili delle esplosioni.

I ricercatori hanno osservato 51 siti piroclastici distribuiti sulla superficie di Mercurio. Riprendendo i dati delle telecamere di MESSENGER e unendoli con alcune informazioni spettroscopiche ottenute nel 2011, gli scienziati hanno rilevato diversi gradi di erosione delle rocce. Un chiaro segno che le esplosioni non sono avvenute tutte nello steso tempo, ma in momenti molto diversi della storia di Mercurio.

A questo punto il gruppo della Brown ha messo in campo una tecnica di datazione basata sui crateri. Il principio è piuttosto semplice: se le ceneri vulcaniche si trovano depositate in un cratere (il che è molto frequente), allora la loro età deve necessariamente essere inferiore a quella del cratere stesso. In caso contrario, infatti, l’impatto con il meteorite che ha causato il cratere avrebbe anche provocato la dispersione delle ceneri; poiché ciò non è avvenuto, le ceneri devono essere senz’altro più giovani. Quindi l’età del cratere, molto più facile da determinare, costituisce una sorta di limite superiore dell’età del deposito piroclastico.

Utilizzando questo metodo, i ricercatori hanno trovato che alcuni dei resti vulcanici erano relativamente giovani, geologicamente parlando: avevano “solo” da 3,5 a 1 miliardo di anni. È stato così possibile escludere l’ipotesi per cui tutta l’attività vulcanica sarebbe avvenuta subito dopo la formazione di Mercurio, circa 4,5 miliardi di anni fa.

“Queste datazioni ci dicono che Mercurio non ha lasciato scappare tutti i suoi elementi volatili tanto presto” ha detto Tim Goudge, prima firma dell’articolo. “Al contrario, li ha mantenute fino a tempi geologici più recenti”.

L’intervallo di tempo in cui questi elementi volatili sono rimasti sulla superficie di Mercurio potrebbe anche gettare una nuova luce sul processo di formazione del pianeta. In particolare, potrebbe smentire l’ipotesi per cui Mercurio sarebbe stato un tempo molto più grande di come è oggi, e che i suoi strati più esterni sarebbero stati “mangiati” dal calore del Sole. Lo stesso calore ritenuto responsabile, quando il pianeta era molto giovane, della dispersione degli elementi volatili: ma caduta questa ipotesi, anche la teoria sull’evoluzione di Mercurio andrà quanto meno riconsiderata.

Per saperne di più:

Fonte: Media INAF | Scritto da Giulia Bonelli