Scorrazzamenti salentini

Creato il 29 gennaio 2015 da Trame In Divenire @trameindivenire

Oggi ho scorrazzato nel Salento, in lungo e in largo, per lavoro. Da questa mattina all'alba, fino a tramonto.

Nel pomeriggio tardi sono stato giù, in direzione del finibus terrae, a Sannicola e ho incontrato Tina e gli altri compagni di "Spazi Popolari". Abbiamo brevemente parlamentato della gita a Trevico, della Mappa dell'Italia Interna e dei nostri paesi arresi.

Sono partito che mi sentivo come un brigante in missione. Sono ritornato che ho la testa piena di traffico. Ci sono automobili, tir e ogni sorta di mezzo di trasporto che mi scorrono ancora lungo la parete frontale. Per non parlare dei gas di scarico e di come percepisco le narici. Poveri polmoni.

Ho avuto un'ora buona di pace quando Tina mi ha portato nell'orto, dove ho incontrato Andrea De Iaco che preparava la poltiglia bordolese per la cura degli olivi e dell'orto. Poi dritti alla cooperativa a incontrare Ivano Gioffreda, il Guevara del Salento. E non lo dico per fare ironia o per scherzo. Ivano da anni ormai ha intrapreso una vera e propria campagna di guerra contro il male che attanaglia la mentalità remissiva e massificante dei contadini del Salento, genuflessi all'imperialismo delle multinazionali e ai poteri mirabolanti del glifosate. Di battaglie ne ha vinte tante, tutte piccole, ma che sommate le une alle altre rendono giustizia alla dignità umana.

Notavo con Tina, che bazzico nel salento da quando avevo appena 6 anni, quando mio padre mi portava appresso nelle interminabili giornate di lavoro. Ricordavo questi paesi, per esempio Muro Leccese, in cui regnava la pietra, case di pietra, strade di pietra, muri di pietra, per lo più pietra leccese, carparo e tufo. E come il tufo così erano i salentini, con le mani callose e i polpastrelli profondamente segnati, solchi che partivano dal volto per finire ai piedi, passando per le mani, il torace e il torso. Da allora da oggi ho assistito allo stravolgimento più totale del Salento e dei salentini.

Paesi come Calimera, dove c'era il vecchio Brizio, bottegaio di generi alimentari all'entrata del paese, maestro del "grico": una lingua corrente che ormai non parla più nessuno, se non per sfoggio buffonesco verso chi non può comprenderla nemmeno di lontano. Brizio era uno di quelli che con il "grico" custodiva gelosamente una mobilia a cassettoni con la finestrella di vetro in cui riponeva ogni trafila di pasta, legumi, cereali, grano, semola, farina, crusca, granone, frutta secca, e negli ultimi anni prima di andarsene a passeggio nelle valli celesti, iniziò a metterci anche ogni sorta di scatoletta e barattolo: tonno, carne, marmellate, pomodori e un po di tutto.

Brizio non c'è più, il Salento si va sempre più spopolando, i più giovani se la danno a gambe, soprattutto quelli che hanno studiato. Eppure i paesi del Salento crescono manco fossero assorbiti dalla metropoli. Crescono i palazzi, cresce il cemento, crescono le strade, crescono le rotatorie, crescono i semafori, cresce la resa, cresce la sconfitta, cresce il fallimento non programmato, quel fallimento che non ha alcuna idea, alcun progetto di come fare per fallire.

Dopo ancora una breve sosta a Lecce, sono tornato a casa con tante auto che scorrono lungo la parete frontale e con un po' grazia nel cuore per la breve pausa nell'orto dei compagni di "Spazi Popolari" e grazie a Tina che nonostante il "frio" che gli stringeva le ossa mi ha fatto compagnia.


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