Non siamo spariti, forse solo indaffarati più del solito (per mesi consecutivi, sì). Ma PdZ è anche questo: masticare il tempo dell’assenza, per poi tornare a condividere gli interessi che continuiamo ad alimentare e che ci sostengono (se non nel portafoglio, almeno nello spirito). Nel frattempo, riporto l’interessante articolo di Matteo Di Gesù uscito oggi sul Manifesto, sulle correnti d’aria fresca che a Palermo ultimamente sembrano risvegliare incoraggianti focolai di interesse (veramente) culturale.
Stay tuned!
- Nel capoluogo siciliano crescono le sigle editoriali, le librerie indipendenti, le rassegne letterarie: anche se i segnali di rigenerazione non possono occultare gli strappi causati da anni di degrado, il tessuto culturale della città si rinsalda e produce un clima favorevole all’affermarsi di giovani voci
di Matteo Di Gesù
Due importanti manifestazioni, entrambe alla seconda edizione (se non si tiene conto dell’esordio sperimentale e circoscritto della Marina di Libri di tre anni or sono) che è opportuno nominare e celebrare, dovendo dar conto della letteratura che si fa e si pratica, oggi, a Palermo: sia per la qualità dell’offerta culturale che hanno saputo proporre, ovviando quest’anno allo spiacevole inconveniente della parziale concomitanza consolidando la collaborazione e incrociando alcuni appuntamenti, sia per il fatto di essere nate e cresciute nella più totale autonomia finanziaria e organizzativa, avendo potuto contare solamente sull’apporto di decine di volontari che hanno lavorato a titolo gratuito (un novero che comprendeva studenti universitari appassionati, librai indipendenti, associazioni di artisti e operatori, cineasti, lavoratori della conoscenza e intellettuali altrettanto entusiasti) e sull’appoggio di istituzioni e associazioni culturali autonome (tra gli altri gli istituti culturali francese, tedesco e spagnolo per il Queer, l’Università di Palermo, il consorzio «Piazza Marina e» e due associazioni studentesche per la Marina di Libri). «Sei proprio sicuro che non ci sia nessun simbolo istituzionale da inserire tra i partner sul risvolto del programma del festival?», chiedeva stupito il grafico veneziano ad Alessandro Rais, raffinato e infaticabile direttore artistico del Sicilia Queer.
Non sono solo ragioni attinenti alla cronaca culturale, quelle per le quali vale la pena dare conto dei due festival, dovendo parlare di scrittori e scrittrici palermitane (alcuni dei quali, oltretutto, hanno animato le giornate delle due kermesse, oppure sono stati coinvolti in alcuni degli appuntamenti «preparatori»): c’è una sorta di consonanza misteriosa tra l’azzardo felice, prossimo all’incoscienza, con il quale manifestazioni come queste vengono realizzate, a dispetto di un degrado culturale che fino a pochi anni fa sembrava inesorabile, e l’ostinazione con la quale la ricerca letteraria di qualità, anche a Palermo, riemerge dalla clandestinità nella quale l’avevano relegata le tirature micidiali dell’ormai indigeribile giallo siciliano, di certa mafiologia d’accatto e dell’intramontabile esotismo rassicurante della sicilitudine da bestseller (fatto salvo il caso, davvero unico, di Camilleri).
Oggi, certo, sarebbe quantomeno improvvido lasciare che l’entusiasmo per alcuni importantissimi segnali di rigenerazione culturale e politica, a Palermo, occulti le lacerazioni prodotte su un tessuto culturale eroso da anni di degrado e approssimazione, di «grandi eventi» cialtroneschi e abbandono civile, sfibrato dal consumo letterario di quart’ordine e dalla negligenza di un ceto intellettuale autocentrato e neghittoso che ha creduto di poter attingere a un capitale culturale che credeva inesauribile.
Nondimeno, è il caso di registrare, senza il timore di incorrere nelle prosopopee delle rinascite e dei rinascimenti, molti segnali interessanti. Probabilmente, proprio per le ragioni che inducono a sperare in una nuova stagione propizia per la letteratura che si scrive, si stampa e si pensa a Palermo, piuttosto che procedere in un elenco di nomi che abbia la pretesa di essere esauriente, ha più senso spendere qualche parola per alcuni di quei soggetti che quel tessuto sgranato stanno contribuendo a rigenerare – per editori come :duepunti, per i quali non è un caso che sia appena uscita la più incisiva riflessione corrente sullo stato degli studi umanistici (Future umanità di Yves Citton); come Mesogea, sorretta a Palermo da due intellettuali davvero militanti come Beatrice Agnello e Mario Valentini (della quale va segnalato un romanzo d’esordio che merita attenzione per impegno civile e sperimentazione linguistica: L’estate che sparavano di Giorgio D’Amato); come la stessa Navarra, il cui fondatore Ottavio è il principale ispiratore e organizzatore della summenzionata Marina di Libri; ma anche per librerie indipendenti come Modusvivendi e Garibaldi, che, insieme a poche altre agenzie – la Biblioteca delle Balate, animata da Donatella Natoli e il Circolo dei Lettori Sabir di Giorgio Filippone, giusto per fare altri due esempi – hanno supplito in questi anni alla carenza di biblioteche diffuse e di politiche pubbliche di promozione della lettura e hanno condotto, spesso sobbarcandosi oneri cospicui, una fondamentale campagna a sostegno della piccola e media editoria italiana di qualità.
Se poi fosse proprio necessario farli, alcuni nomi, oltre a quelli ormai affermati di Giorgio Vasta o di Evelina Santangelo, giusto per rimanere tra i quarantenni, valga allora quello di Nino Vetri, le cui peripezie narrative meritano sicuramente attenzione; o quelli di Antonio Pagliaro, romanziere in lusinghiera evoluzione, e di Marco Pomar, umorista malinconico tra Allen e Campanile. Quanto ai poeti, è il caso di tenere d’occhio Luciano Mazziotta, già esordiente per i tipi di Zona: non ha nemmeno trent’anni, ma lascia presagire di avere ancora qualcosa di molto interessante da scrivere, magari per i prossimi decenni. Proprio come – sembra di poter dire – la sua città.