I lettori talent scout, quelli che amano mettere l’occhio sui giovani sconosciuti prima del resto del mondo, potrebbero provare (ma devono saper leggere in portoghese, inglese o spagnolo, non mi risulta sia uscita in italiano) con l’antologia di autori under 40 pubblicata l’anno scorso dalla prestigiosa rivista «Granta» che, come al solito, promette di lanciare i nomi della futura generazione di scrittori famosi. Alcuni di loro, a cercar bene nei cataloghi nostrani, sono già stati pubblicati in Italia, ma non sempre i brasiliani riescono a saltare sul treno delle periodiche mode latinoamericane. E non sempre per demeriti personali. Il caso più emblematico mi pare Chico Buarque, eccellente narratore per niente favorito (se non addirittura danneggiato) dalla sua fama di cantautore e passato quasi inosservato, soprattutto ai tempi in cui pubblicava da Mondadori (ora sta con Feltrinelli). Un altro robustissimo scrittore è Milton Hatoum, tradotto da Amina di Munno per diversi editori grandi e piccoli. Ma di autori brasiliani che nel panorama editoriale italiano sembrano turisti per caso il blog Sul Romanzo ha già parlato a proposito di Cristóvão Tezza e Bernardo Carvalho.
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Fra i giovani antologizzati anche da «Granta» troviamo, per esempio, Daniel Galera, di cui Mondadori ha pubblicato Sogni all’alba del ciclista urbano (2008), e Arcana i racconti Manuale per investire i cani (2004); Tatiana Salem Levy (presente nella squadra di «Granta», ma non nella lista degli invitati alla Buchmesse), brasiliana nata a Lisbona in una famiglia di ebrei turchi, ha scritto La chiave di casa e Due fiumi, entrambi editi da Cavallo di Ferro; di estrazione giudaica anche Michel Laub, di cui Feltrinelli sta per pubblicare Diario della caduta, una riflessione sul Male e il senso di colpa, peccato e persecuzione, vecchi temi della letteratura ebraica riadattati ai nuovi tempi e al nuovo continente. Caratteristica curiosa che accomuna questi giovani eredi di Guimarães Rosa e Jorge Amado è l’aver “appianato” la lingua e stralciato l’aggettivo “magico” dal loro realismo. Le città che descrivono somigliano infatti a Roma, Parigi o Londra, così come somigliano a quelle di chiunque altro le loro famiglie e rispettive nevrosi, pur nelle differenze che già Tolstoj ricordava in Anna Karenina.
Se poi delle sopravvalutazioni del mercato editoriale o della supponenza dei critici ve ne infischiate e vi affascina perversamente – già ben oltre Hannah Arendt – non la banalità del Male, bensì il male della Banalità, sappiate che a Francoforte ci sarà anche lui: Paulo Coelho.
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