Loro si muovono
lasciano scie
sulla pellicola impressionata.
Vita
come foto estatica
movimentata statica
Tutti si agitano
anche la terra
io immobile
dentro
vacillo
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Saffo
Baciami, ancora
con quelle labbra rugiadose
ogni centimetro del mio corpo,
solcato.
Toccami, più a fondo
scava in me con violenza ferina
con dita di ragno e conchiglia
muscoli tesi come corde di violino.
Mordi, più forte
ogni avvallamento, turgidità, morbidezza, spigolo
del corpo mio.
Con la tua lingua di fuoco e rasoi
lasciami segni indelebili
sulla schiena, sulla pelle sudata
nelle vene.
Sputa nel sangue, bevi il mio mosto
tormentosa tormentata Saffo.
Ti odio, pur godendo di te
come ogni vizio, soffro guarendo senza di te.
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La Casa del Mirto
La felicità nascosta
Tra foglie di mirto e aghi di pino
E se ti stiri,
ti protendi,
ti amalgami
con questo mondo dove non c’è traccia di uomo
allora
niente
vivi di roccia e di sale
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La Cassandra
Morirete tutti, moriremo
E cadendo ballerò
Portando via con me
L’amore immenso che
Nessuno ha visto mai
Gatto bianco tinto in nero
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La Clitemnestra
Guardando l’ombra ed il solco
Che hai lasciato sul cuscino
Penso al solco del corpo di donna
Sul tuo giaciglio
Possiedimi, riempimi, sfiniscimi
ma più mi riempi so
Che sentirò il suo vuoto
colmami, insozzami, affogami
Di te in te con te
Ma più mi sbatti più mi sciogli so
Che sentirò il suo vuoto
A che serve un talamo
Se poi con la schiava usa la paglia?
A che servono le doglie
Se poi sull’altare ci sono coltelli e non fiori d’arancio?
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Le troppe cose
Milioni, milioni
Milioni di cose vorrei
Fare con te
Ascoltarti suonare
Alla fermata del tram
Mentre pioviggina
Attenderti
Oltre a
Senza luci
Fare sesso
Fare all’amore
Da lontano
Nelle pinete più vecchie
Di te
Più scosse
Di me
Si aggirano lupi di mare
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E se non fosse stato?
E se non fosse stato? (un imprevisto)
Se il tram, quello
La coincidenza (a Berlino)
L’avessimo persa?
Se non ci fossimo incrociati (non ritornando)
Nello spazio (entrambi)
Che traballa?
Un altro uomo un’altra donna (sempre altrove)
Al nostro fianco forse (sei)
Ci avrebbero lasciati indifferenti (con gli occhi)
E nel guardarsi,
ci si ritrova
eppure
non ieri,non oggi
né domani
solo quell’attimo è bastato (ma basterà?)
Di tutte le coincidenze
Sei tu la più fortuita ©
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A.E.
Letto disfatto
Lenzuola rotte
sigarette
Finestre aperte,
tu.
di questa sceneggiatura
mi tingerebbe gli occhi
la mattina.
Ci troverei abbracciati.
Ma non ci trovo.
Non incontro che
spazio.
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Respiro
Piano tremante sottile esploso
incontro abbandonico zitta dormivi
tremavi sudavi ti liquefacevi
sul letto gigante stile America annoiata
metà novecento.
(Mi hai versato del brandy sul vestito a pois!
Per ripicca del rossetto sul colletto)
Bambina invecchiata dalle flebo,
rughe
le vedi?
Io si
ricorda
che un po’ sono il tuo cane da guardia
di chi muore Anubi
di chi nasce, Iside
eddai! ricorda
i tuoi sonninsonni
Dormi che è meglio pensarci domani
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Postfazione di Rina Brundu. Il nome di Eleonora non può che riportare alla memoria il glorioso raccconto di Edgar Allan Poe: “La mano nella mano, per questa valle ben quindici anni vagai con Eleonora prima che Amore entrasse nei nostri cuori. Fu una sera al volgere del terzo lustro della sua vita, e quarto della mia, che ci sedemmo stretti in reciproco abbraccio sotto gli alberi serpentini, e abbassando lo sguardo sul Fiume del Silenzio vi cercammo, nel vivo dell’acqua, le nostre immagini. Per il resto di quella dolce giornata non dicemmo una parola; e anche all’indomani le nostre parole furono tremule e rade. Avevamo tratto da quell’onda il dio Eros, e ora sentivamo che egli ci aveva acceso dentro le anime di fuoco degli antenati. Le passioni che da secoli contraddistinguevano la nostra stirpe affiorarono in folla con gli impeti visionari per cui andava altrettanto famosa, e assieme spirarono una delirante felicità sulla Valle dell’Erba Multicolore. Colse ogni cosa un mutamento. Strani fiori brillanti a forma di stella scoppiarono sugli alberi dove non s’era mai vista traccia di fiore. Le tinte del tappeto verde si fecero più intense; e quando ad una ad una appassirono le bianche margherite, sbocciarono al loro posto a dieci per volta gli asfodeli color del rubino. E la vita trionfava sul nostro cammino…”. L’Eleonora delle poesie pubblicate qua sopra – e della qual Eleonora, oltre al nome, nulla so in più – mi ha scritto per collaborare a Rosebud. Con queste sue opere, appunto. Mi paiono esteticamente apprezzabili. Oltre che “ardenti”. Di sicuro raccontano un’anima. Diversa. Inquieta. A suo modo ispirata. Per questo vale la pena leggerle. E “ascoltarle”. I cognomi delle anime, invece, non sono importanti.
Featured image, Virginia Clemm, la cugina poi diventata sua moglie appena tredicenne. La sua morte prematura potrebbe aver ispirato molte delle opere di Poe.