Una differenza, però, c’è e non è da poco: scrivere non è un’abitudine da riservarsi esclusivamente agli scrittori. Tutti possono e devono scrivere, perché la scrittura è una terapia. Scrivere non risolve i problemi, né pacifica con i fantasmi, però aiuta a fare una cosa meravigliosa: esplorarsi. Attraverso la scrittura indaghiamo noi stessi, anche se parliamo di storie e personaggi distanti anni luce da noi. Grazie alla scrittura dimentichiamo cosa sia il pudore, perché prima di arrivare a scrivere qualsiasi frase, la nostra testa e il nostro istinto hanno indagato i miliardi di casi possibili, nessuno escluso. Spesso quest’indagine accade in una frazione di secondo, ed è un peccato: vuol dire che ci depriviamo della vertigine che dà la consapevolezza che prima di mettere una frase sulla carta (o sullo schermo) tutto è possibile. Noi siamo dio e possiamo far accadere qualsiasi cosa, diventare qualsiasi cosa, rinnegare o dare nuovo nome a tutto quanto.
Chiunque desideri scrivere, allora, deve prendersi tempo. Non avere fretta di srotolare la storia e, anzi, godersi ogni istante dello srotolamento.
Diamo a ogni azione della storia il beneficio dell’esperimento: le cose non devono andare per forza così, possono anche...
E in quest’”anche” risiede la più vasta molteplicità di contingenze che riusciamo a immaginare.
I personaggi che inventiamo - sia che siano declinazioni di noi stessi, sia che siano attinti da altre vite, immaginarie o reali - sono le pedine di un gioco esistenziale. Il gioco di una memoria che va fondandosi mano a mano che scriviamo. Sono le nostre creature e le plasmiamo attraverso ogni passaggio della trama dentro cui le caliamo.
E allora, anche qui, osiamo pensare in grande. Non facciamo andare le cose sempre troppo bene, a questi personaggi, o sempre troppo male.
Qual è la cosa peggiore che potrebbe capitare loro in questo momento della storia? Qual è la cosa migliore che potrebbero desiderare?
Sondiamo ogni possibilità e il suo contrario. Rimarremo stupiti da quante cose avevamo scartato a priori, costringendo la nostra storia a un ingiusto appiattimento.
Anche di quello che non c’è sulla carta, è bello riflettere in questi termini:
Margherita Rastelli
Se il mio personaggio morisse, come lo farebbe? E se vedesse qualcuno morire, come reagirebbe? E se fosse pazzo, di che pazzia sarebbe portavoce?Impariamo a conoscerlo, questo protagonista, che meglio lo conosciamo e più saremo veritieri quando racconteremo le vicende con cui ha a che fare.
Scrivere è un’esplorazione, abbiamo detto. E come tutte le esplorazioni, è tanto più appagante - per chi la conduce e per chi ne sentirà raccontare - quanto più tempo, energie e sincerità ci saranno state investite.
Margherita Rastelli
Potrebbe interessarti anche: La Guerra dell'Editor Commento a caldo sull'esperienza The Incipit: fantastica! "Scrittori", poesia di Luca Rossi