Scrivere è musica

Creato il 14 gennaio 2016 da Beltane64 @IrmaPanovaMaino

Quando le parole seguono il ritmo della musica, diventano la base su cui si fonda il componimento.

di Giorgio Bianco

Paura e lacrime, ma anche sorrisi e carezze da innamorati. Sensazioni forti, insomma. Tutto sul pentagramma, a beneficio di romanzi e poesie. Sì, perché la colonna sonora non è un'esclusiva del cinema. Anche la letteratura se la può permettere. Almeno nella fase della stesura. Ho sempre scritto a suon di musica e devo dire che il binomio romanzo - rock (ma che cos'è, poi, 'sto rock?) per me è inscindibile.
Cuffie nelle orecchie e giù la testa sul computer, quindi. Ho scritto il mio primo romanzo, " Notizie fredde", ascoltando i Radiohead e Steve Vai. Van Halen mi ha fatto compagnia durante la stesura de " La morte vola", mentre " Il cacciatore di foglie secche" è figlio dei Led Zeppelin. Infine "Dammi un motivo", pubblicato con EEE, scivola sulla malinconia di Steven Wilson e dei Cure.

Ma è davvero utile la musica quando si scrive? Non deconcentra? Proprio per nulla, anzi: i brani, a mio giudizio, sono fonte d'ispirazione. Ma su questo punto la faccenda si complica. L'ispirazione è casuale? Oppure cerchiamo una musica specifica affinché ci procuri determinate sensazioni? E quando la storia cambia ritmo, che cosa dobbiamo fare? Mettere su un'altra melodia? E non si rischia di "farsi prendere la mano"? E finalmente: senza musica, diventiamo incapaci di tenere la penna in mano?
Provo a fare un po' d'ordine, ma si tenga presente che qui parlo della mia esperienza personale, senza nessuna pretesa di fornire metodi validi per tutti.
Dunque, quando inizio a scrivere un romanzo, prima di tutto scelgo con attenzione la musica che mi accompagnerà durante la stesura. La selezione è molto rigorosa e precisa: per intenderci, non potrei mai scrivere ascoltando la radio. Normalmente i miei racconti sono venati da un mal di vivere intenso: adoro stare al mondo, ma quasi mai sono soddisfatto di come lo faccio, inoltre, il rimpianto occupa uno spazio molto più ingombrante della speranza.

Scorrendo gruppi e singoli musicisti, che ho citato sopra, si intuisce facilmente come Cure e Steven Wilson siano molto adatti quando si cerca di coltivare la malinconia. Ma è anche vero che Steve Vai è un chitarrista metallico e virtuoso, i cui brani sono tutt'altro che tristi. Infatti, in alcune parti del romanzo " Notizie Fredde" mi è servita tanta energia, mentre ho affidato altri capitoli alle languide atmosfere dei Radiohead. I quali, non dimentichiamolo, sono maestri proprio nella realizzazione di colonne sonore.
Ecco quindi il primo mattone: lo scrittore può (deve) scegliere la musica più adatta alla storia, o al capitolo, che si accinge a scrivere. In questi casi il controllo è assoluto, poiché la melodia è uno strumento nelle mani del romanziere.
Ma non è sempre così, non per me. Infatti, in certi casi, la musica va oltre le mie aspettative. Essa è parte della mia vita e, poiché vivo in modo emozionale, a volte i brani corrono più rapidamente di me. Per cui, esaurita la loro funzione, non accettano di essere "spenti" e continuano a girarmi in testa. Quindi cedo e li riascolto, mi lascio andare, cioè permetto alle canzoni di guidarmi. E altri capitoli nascono, imprevisti e travolgenti, pronti a portarmi chissà dove.

I ruoli, a quel punto, si sono invertiti: è la musica a comandare, non più io. Tutto bene? Non sempre. Sì, farsi portare è bello e comodo, ma il taxista non deve permettersi di ignorare la destinazione che gli abbiamo indicato. Lasciamogli pure percorrere la strada panoramica, se ritiene che sia più scorrevole. Ma nulla di più. Oppure si rischia di precipitare in un mondo fantastico ma anche da incubo, come nel brano " A forest" dei Cure, dove il protagonista rincorre una ragazza nel bosco fino a perdersi. E senza raggiungerla, oltretutto. A me è successo, scrivendo: la musica andava, io giravo come un fesso e riempivo pagine su pagine. Belle? Può darsi. Ma sicuramente inutili e addirittura traditrici rispetto alla storia che avevo in mente. Dovetti eliminarle dal libro. E la speranza di riutilizzarle, "una volta o l'altra", si rivelò vana.
Tanto per chiarire, io nel bosco continuo ad andarci. Perché senza musica divento una specie di analfabeta emotivo. Quindi corro i miei rischi.

Prima che accada il peggio, però, faccio una cosa molto semplice: mi arrabbio. Funziona sempre. Grazie all'esperienza, so quando il vecchio Robert Smith mi prende in giro con la sua magica chitarra (Fender Jazzmaster, la amo) e non gli permetto di andare oltre: un pugno sul tavolo e lo caccio via, via! Fuori dal mio libro! Chiudo gli occhi, chiudo il file, guardo l'ora: di solito sono le due del mattino e, poiché la sveglia suona alle sette, me ne vado a letto. E così sia.
Ma prima di arrivare a questo punto, vado a tutto volume. Ascolto in cuffia, accorgimento necessario nella piccola casa dove vivo: scrivo rannicchiato sul divano, con il portatile sulle ginocchia. Quel che succede intorno a me non è interessante. Divento melodia e parole e taglio davvero i ponti con il mondo esterno. Mi concedo soltanto qualche brevissima escursione su Facebook, roba di due minuti, poi torno a scrivere.

E quando finalmente la prima stesura del libro è terminata, mi concedo il lusso di rileggere senza musica. Perché è un lusso? Perché l'overdose di emozioni stanca, sfinisce. Dopo qualche tempo non ne puoi più. Melodie e frasi mi portano spesso a piangere, a non vedere la fine del tunnel, a disperarmi. Può darsi che in tutto questo risieda l'arte, ma sicuramente è un massacro. Quindi, nel momento in cui posso cominciare a limare le frasi, a eliminare le ripetizioni e a cercare gli errori di battitura, mi sembra di essere tornato sulla Terra, insieme alle persone "normali". È riposante, senza musica. Leggo il libro, correggo, ma intanto posso rispondere al telefono, decidere con la mia compagna se il risotto avrà o meno lo zafferano, accordami con un amico per la sciata del sabato...

Vivere ragazzi, vivere: l'orgasmo non può durare per sempre.
C'è stanchezza, a volte, nelle mie parole. La sento, la vedo. Chi si lascia rapire dalla musica mentre scrive, non dimentichi che perfino una bolletta in scadenza può rappresentare una via d'uscita dall'angoscia. Salvatevi ragazzi, mi raccomando. Ma soltanto fino al prossimo brano! Ne consiglio uno fondamentale nella mia vita, fin da quando ero un bimbo: " A salty dog" dei Procol Harum. E ricordiamoci sempre che i metodi sono tanti, ma l'arte è una sola. Teniamola viva!