Scrivere la Storia: Intervista a Jacopo Mordenti

Creato il 21 ottobre 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Fin dai tempi delle elementari, la materia che ho sempre preferito a tutte le altre è stata la Storia. Ho amato sognare ad occhi aperti di egiziani, greci, romani, ma soprattutto ho avuto una grande predilezione per la “cavalleria” ed in particolare per il Medioevo, dai più spesso bollato con la scomoda etichetta di “secoli bui”. Da allora le mie letture extrascolastiche si sono dunque orientate su due grandi filoni: il fantasy ed il romanzo e saggio storico. Quando Piero Lonardo, che abbiamo già avuto l’occasione di conoscere con una bella intervista sul nostro Dietro le Quinte, mi ha parlato di questo suo amico, autore di un saggio sui templari, non mi è parso vero di poter leggere un testo dedicato ad un periodo storico che da sempre mi intriga e conoscere chi lo aveva scritto. Il resto l’ha poi fatto il solito Facebook grazie al quale siamo entrati in contatto con Jacopo Mordenti…

Buongiorno Jacopo, per iniziare la nostra chiacchierata, ci puoi raccontare qualcosa di te?

«Certamente, Giuseppe. Nasco nel 1982 a Perugia, città da cui mi allontano nel 2001 per intraprendere gli studi universitari a Bologna. Seguono sei anni intensi nel corso dei quali conseguo una laurea di primo livello in Storia Politica e una di secondo livello in Culture del Medioevo & Archivistica. Nel 2007 torno in pianta stabile a Perugia, dove attualmente vivo e lavoro».

Come nasce la tua passione per la storia ed in particolare per i templari?

«È una passione della quale in effetti non sono in grado di rintracciare l’origine precisa: ho come la sensazione che, non fosse altro sotto forma di una certa curiosità, mi faccia compagnia da sempre. Il mio interesse nei confronti dei templari, più nel dettaglio, da una parte nasce da una sorta di retaggio familiare, e dall’altra dall’aver realizzato, nel corso dei miei studi, quanto potesse essere interessante fare luce su di un simile argomento, tanto sul piano dei contenuti quanto su quello della metodologia storica».

“Templari in Terrasanta” è il tuo primo libro, ci puoi parlare di come è nata l’idea e di quali difficoltà hai incontrato per realizzarla?

«Tutto nasce cinque anni fa, quando comincio a mettere insieme un certo numero di fonti – letterarie, storiografiche, iconografiche – in funzione di quella che sarebbe dovuta essere una ricerca sulla reputazione dell’ordine templare. Fra queste fonti, però, ce n’è una che finisce rapidamente per assorbire tutte le mie energie: la cosiddetta Cronaca del templare di Tiro, relativamente poco conosciuta e per certi versi unica. Scritta intorno al 1320 da un anonimo molto vicino al Tempio, ha il merito non solo e non tanto di trattare distesamente dei templari e della Terrasanta nei decenni in cui essa si sgretola, ma anche e soprattutto di farlo a partire dal punto di vista – insolito, ai nostri occhi – dei latini d’Oriente, cioè dei cristiani nati e cresciuti nei territori crociati. Appunto questa prospettiva diviene il perno della tesi che discuto per il conseguimento della laurea di secondo livello, nonché – un paio d’anni dopo – di “Templari in Terrasanta. L’Oltremare del Templare di Tiro”, che pubblico su proposta di EncycloMedia Publishers (http://www.encyclomedia.it/)».

Hai trovato aiuto in ambito accademico o ti sei scontrato con difficoltà impreviste?

«Ho avuto la fortuna di poter contare sul sostegno e sulla collaborazione di tutta una serie di persone, sia in ambito accademico che in ambito editoriale. Non posso che ringraziare in prima battuta il prof. Glauco Maria Cantarella, il prof. Riccardo Fedriga, la dott.ssa Rossana Di Fazio: senza di loro le fisiologiche difficoltà incontrate nel corso della stesura avrebbero assunto un connotato molto più sinistro».

Il ritorno che ha avuto il tuo libro ti ha soddisfatto, era quel che ti aspettavi?

«Il riscontro di “Templari in Terrasanta” mi fa molto piacere, e per certi versi mi sorprende: è vero che il tema di fondo, in questi anni, è piuttosto “sentito”, ma è anche vero che nello specifico viene affrontato secondo i dettami della ricerca storica, non dell’intrattenimento».

Siamo di fronte indubbiamente ad un testo non immediato per il lettore medio o meno impegnato, qual era lo scopo alla base di una simile scelta?

«Vedi: il punto fermo alla base di questo lavoro è stato quello di non uscire mai dai binari di una seria ricerca storica. Non mi stancherò mai di dirlo: si può trattare dell’ordine templare senza chiamare necessariamente in causa il Santo Graal, Bafometto, la rotta americana, ecc. ecc.; sta poi all’abilità e alla sensibilità di chi scrive cercare di rendere quanto più fruibile possibile la trattazione anche ai non addetti ai lavori. Trasmettere in modo credibile ma non inaccessibile il fascino autentico della questione templare: una sfida ardua da continuare a raccogliere».

A bocce ferme qual è il tuo pensiero e il tuo giudizio più schietto sui templari, sul loro operato e sulla loro fine?

«Rispondere per esteso è pressoché impossibile. In estrema sintesi abbozzerei questa interpretazione della loro vicenda: i templari sono rimasti vittime dell’equivoco di fondo consumatosi nel Duecento tra Terrasanta e Europa; a differenza di altre istituzioni – di altri ordini militari, in primo luogo – non sono stati in grado di elaborare un “piano B” che permettesse loro di chiamarsi fuori da questo stesso equivoco. Il processo capestro ai templari è una tappa ineludibile della storia dell’ordine, ma da solo non basta a spiegarne il drammatico, rapidissimo epilogo: bisogna tornare almeno a qualche buon decennio prima per rintracciare l’avvio della costruzione dell’annientamento del Tempio».

Quali sono i tuoi programmi per l’immediato futuro?

«Nei prossimi mesi – grazie anche all’ufficio stampa di EncycloMedia Publishers, affidato alla dott.ssa Elena Dal Pra – parteciperò ad alcuni incontri in cui “Templari in Terrasanta” fornirà lo spunto per confrontarsi su temi quali gli ordini militari, le crociate, la Terrasanta. Segnalo ad esempio l’incontro che si terrà a Milano il 12 novembre, presso la libreria Feltrinelli di via Manzoni, curato dall’associazione Italia Medievale (http://www.italiamedievale.org/)».

Il prossimo libro avrà ancora attinenza con queste tematiche o pensi di andare a scandagliare altri periodi e personaggi?

«In tutta sincerità non ho ancora le idee chiare. Conto di mettere a fuoco nei prossimi mesi una nuova ricerca da intraprendere».

Pensi che le nuove tecnologie, internet su tutte, ed i social network come Facebook possano abbattere gli ostacoli fin qui insormontabili per avvicinare finalmente lo scrittore ai suoi lettori?

«Certamente. È un’opportunità da cogliere, non fosse altro per un sano principio di confronto e magari di crescita».

Il mestiere dello scrittore, dicci un po’ come lo vivi, quali sono le difficoltà, quali le gratifiche?

«Per quanto possa sembrare banale, il primo problema da affrontare nel mio caso è il tempo: il lavoro e la famiglia ne lasciano relativamente poco. Ottimizzarlo è uno sforzo che alla lunga può farsi sentire, e che d’altro canto in questo caso è stato ripagato dai riscontri dei lettori, della critica, ecc. ecc.».

Pensi che lo scrittore dei nostri tempi debba essere in qualche modo parte attiva nella formazione e nella salvaguardia della coscienza sociale di un popolo, a maggior ragione in un momento in cui tv e politici fanno di tutto per omologare verso il basso?

«Personalmente ho difficoltà a concepire come uno scrittore – vogliamo dire un intellettuale in senso lato? – possa ritenersi estraneo al mondo in cui vive, e questo a prescindere da quanto il suo specifico ambito sia radicato o meno nella contemporaneità. La storia medievale, ad esempio, in sé potrebbe essere considerata inutile: il ventunesimo secolo non potrebbe farne a meno? Tuttavia studiarla e diffonderla, quale metodo molto prima che quale contenuto, significa fornire una palestra nella quale allenare la coscienza sociale di cui parli».

Nello specifico pensi che debba cioè impegnarsi in prima persona, mettendoci la faccia, per “svegliare” le assopite coscienze della gente?

«Credo sia necessario tenere presente come ogni intellettuale sia prima di tutto una persona, dotata di uno specifico carattere e dunque più o meno disposta a impegnarsi in prima persona. Tuttavia, se da una parte non tutti sono adatti alla “prima linea”, dall’altra nessuno che abbia fatto i conti con le ombre della caverna può davvero pensare di tornare indietro».

L’intellettuale è visto dalla gente comune come un personaggio originale, un po’ fuori dagli schemi, magari anche un po’ eccentrico, ti ritrovi in questo cliché?

«No, non direi. Ho molti interessi e probabilmente fin troppi spigoli, ma niente di più: ridimensioniamolo, questo luogo comune, non fosse altro per quell’avvicinamento fra lettori e scrittori di cui si parlava!».

Consideri il mondo della letteratura e dell’editoria aperto a chiunque vi entri in contatto o reputi che sia una sorta di circolo chiuso e limitato a chi è raccomandato o ha le giuste conoscenze?

«Conosco troppo poco questo mondo per pronunciarmi con certezza. Nel mio caso, evidentemente, un buon materiale di partenza non ha potuto prescindere dalla scommessa di un editore serio per diventare a tutti gli effetti un libro».

Qual è il tuo sogno segreto?

«Ne parliamo al prossimo libro, che ne dici?».

Grazie Jacopo.

«Grazie a te».


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