Scuola digitale: nuove opportunità offerte dal mondo ICT – Code Week 2014 #codeEU

Creato il 10 ottobre 2014 da Alessandro Ligas @TTecnologico

Sabato 11 Ottobre prenderà il via la settimana Europea della Programmazione ed anche Cagliari sarà tra le protagoniste con “Cagliari Code Week 2014”, un ciclo di eventi e laboratori gratuiti rivolti a diverse fasce d’età, che si terranno presso la sede di Tiscali.

L’evento è stato organizzato dall’Associazione Sardegna 2050 e dall’Open Campus Tiscali che hanno voluto aderire alla Settimana Europea della Programmazione, la “Europe Code Week 2014”, organizzata dalla Commissione Europea, che si svolge in tutta Europa dall’11 al 17 ottobre.

La settimana Sarda dedicata alla programmazione sarà aperta dal convegno “Parliamo di scuola. Possibile. Attuale. Futuribile” nel quale si parlerà della scuola digitale e delle nuove opportunità offerte dal mondo ICT al settore scolastico ed in generale a quello della formazione. Il convegno sarà inaugurato da Alice Soru (Head of Open Campus Tiscali) e Gianfranco Fancello (Presidente di Sardegna 2050) a cui seguiranno i saluti di Francesco Pigliaru, Presidente della Regione Autonoma della Sardegna, e da Claudia Firino, Assessore della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport della Regione Autonoma della Sardegna, e gli interventi di Raffaella Sanna, Anna Rita Vizzari, Alessandra Patti, ed Angelo Bardini.

L’intervento di Raffaella Sanna darà una panoramica di ciò che sta succedendo in materia di digital literacy e promozione dell’insegnamento del coding nelle scuole ed a tutti i livelli della formazione. “La Sardegna ha nell’ecosistema ICT isolano” dice Raffaella “uno dei maggiori punti di forza per lo sviluppo economico: abbiamo imprese, università, centri di ricerca, associazioni che da più di un ventennio segnano il passo con casi di successo di innovazione tecnologica e di leadership nel mondo del digitale. La Sardegna può rispondere con forza alla “Grand Coalition for Digital Jobs”,l’iniziativa lanciata a Marzo 2013 dalla Commissione Europea per rispondere alla carenza di skill digitali tra i cittadini europei, iniziativa all’interno della quale la Sardegna può giocare il suo ruolo ed essere parte attiva ”.

Per Anna Rita Vizzari, Insegnante di Lettere nella Scuola Secondaria di 1° di Sestu, “advanced teacher” Living Schools Lab e ambasciatrice iTEC, usare le tecnologie a scuola è stato naturale. “Da anni utilizzavo il computer,” ci racconta Anna “innanzitutto per studio ma anche, e tantissimo, per i videogiochi (ero un’appassionata di giochi sparatutto come Wolfenstein e Doom), per cui era una cosa che già mi apparteneva. Ricordo che nella mia prima supplenza, di 3 mesi, avevo già avuto la fortuna di avere un computer in classe: facevo andare a turno gruppi di alunni affinché realizzassero un ipertesto in html sulla vita quotidiana nell’Antica Roma. Ma era il periodo felice del tempo prolungato, in cui avevo tante ore (circa 14 contro le 9 attuali) in una sola classe e potevo permettermi degli approfondimenti ora impensabili”. Continua Anna, “nel 2009 ho avuto una cl@sse 2.0 (30.000 euro dati dallo Stato per l’acquisto di tecnologie): abbiamo dotato ogni alunno di netbook, una cosa che all’epoca aveva anche incontrato la resistenza di qualche genitore che temeva di non poter gestire la situazione. Quando ho avuto di nuovo una prima, i “nuovi genitori” si sono attivati spontaneamente, mi hanno chiesto di poter dotare i figli di dispositivi (anche tablet) e io non ho potuto fare altro che accogliere con entusiasmo e gratitudine la loro proposta, prima ancora di sapere che esistesse il BYOD (Bring your own device in italiano: “Porta il tuo dispositivo, porta la tua tecnologia, porta il tuo telefono e porta il tuo pc” ndr). Quindi, dal punto di vista delle tecnologie, ora sono doppiamente fortunata: ci sono le dotazioni (anche se non sempre funzionano tutte) e c’è il supporto entusiastico dei genitori. Grazie a classi 2.0 sono stata poi coinvolta in altri progetti (stavolta europei: iTEC e LSL) nei quali abbiamo avuto modo di lavorare in modalità BYOD”.

Ma quali sono le nuove opportunità che vengono messe a disposizione dall’ICT per la scuola? Anna Rita sottolinea “Quali ICT? La mia esperienza di insegnamento è contestuale all’introduzione delle ICT: insegno dal 2000 e ho usato da subito tutte le tecnologie che avevo a disposizione: iniziando con la lavagna luminosa e con l’aula informatica, passando per il videoproiettore e la LIM, approdando al BYOD, al cloud e ai social network. Ogni specifica tecnologia fornisce una diversa opportunità, se se ne fa un utilizzo mirato e consapevole. Secondo me le ICT hanno cambiato la mia forma mentale prima ancora della didattica, a livello di approccio reticolare (e non più lineare) e multidimensionale (e non più meramente testuale)”. Ed aggiunge “Le tecnologie sono uno strumento e per farne un uso didattico bisogna ragionarci, confrontarsi, documentarsi, mettersi sempre in discussione. La mia metodologia didattica è cambiata nel tempo e spero che cambi sempre, perché si dovrà sempre adattare alle classi e alle situazioni: non necessariamente un’evoluzione continua ma anche un saper ripescare dal passato degli elementi utili”.

Queste opportunità vengono recepite dai ragazzi “positivamente (a parte rarissimi casi di apocalittici ancorati al cartaceo)” dice Anna Rita “anche se credo che i miei alunni non vivano emozioni particolari nell’usare un dispositivo: voglio far passare il messaggio che sia una cosa normale anche a scuola. Il tablet e lo smartphone sono strumenti come altri che si usano quando sono effettivamente più funzionali (personalmente se devo fare un disegno non lo traccio alla LIM ma alla lavagna) e che vanno accantonati quando il loro uso implica una perdita di tempo piuttosto che un’agevolazione”. A questo proposito Anna Rita ci racconta un aneddoto “ricordo una volta in cui ho pubblicato su Facebook la fotografia di una mia classe BYOD, in cui ogni alunno aveva il proprio dispositivo (tablet, netbook o smartphone che fosse), un’alunna di 10 anni prima ha commentato: “Prof, con noi queste cose non le faceva!”. Allora le ho risposto chiedendole di fare mente locale e di ricordarsi se all’epoca netbook e tablet esistessero e come invece fossero i cellulari esistenti, per cui la ragazza si è resa conto che non ero cambiata io come insegnante, ma che sono cambiate le tecnologie a disposizione. Quando ero docente di quella alunna, portavo in classe il videoproiettore sul carrellino: all’epoca, quello era il top”.

Naturalmente queste opportunità possono essere sfruttate anche da materie più “ostiche”, nel senso che hanno un rapporto indiretto con l’ICT, ad esempio le materie letterarie. “Insegno alcune di quelle cosiddette “materie ostiche” (Italiano, Storia e Geografia)”, dice Anna Rita “ma ritengo che le tecnologie vadano usate a prescindere dalla disciplina di insegnamento per due motivi: innanzitutto i dispositivi sono uno strumento (come carta e penna) e non un argomento, inoltre le competenze digitali sono trasversali e non legate a una specifica disciplina. Quello che con le tecnologie si può fare per le materie umanistiche è abbondantemente documentato nei blog delle diverse classi e dei diversi progetti (eccone qualcuno: http://geeksestu3.blogspot.it/, http://itecsestu3.blogspot.it/, http://itec4sestu2ae.blogspot.it)”

L’utilizzo delle nuove tecnologie nelle scuole apre un nuovo modo di vedere ed intendere la scuola in modo “smart”. Alessandra Patti, Dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo Gramsci-Rodari, Sestu, in proposito dice che “le “smart schools” non esistono nel senso ufficiale del termine. Parlare di “smart schools” è un desiderio, una speranza. Quando diciamo “smart” lo facciamo nel senso di efficienza, vivibilità e presenza nel territorio, come le “smart cities”. La scuola in generale soffre di tante difficoltà, tanti limiti e tanti ostacoli e ciò che è importante, in questi contesti, è far emergere le tante buone prassi che sono all’interno della scuola. La Sardegna è l’unica regione italiana che ha dotato tutte le sue scuole di pc nelle aule, di connessione alla rete e di lavagne multimediali, ma l’innovazione all’interno delle scuole non è soltanto quella tecnologica, dobbiamo ricordarci che la tecnologia è uno soltanto uno strumento non è innovazione didattica. L’innovazione la fanno gli insegnanti attraverso diversi modi di fare didattica come ad esempio con le classi rovesciate (metodo che consiste nell’invertire il modo di insegnare: con gli alunni e non agli alunni; dagli alunni e non dall’insegnante; ambienti senza cattedre, più adatti allo sviluppo della creatività di ciascuno il luogo dove si segue la lezione – a casa propria anziché a scuola – con quello in cui si studia e si fanno i compiti – a scuola anziché a casa – ndr). Dobbiamo ricordarci che in Italia esistono delle avanguardie educative ossia scuole dove si sperimentano strutture e metodologie educative nuove anche con l’ausilio della tecnologia, ed è a quei modelli di innovazione didattica che dobbiamo ispirarci. La scuola sembra vivere un paradosso, ha il compito e l’obiettivo di formare i giovani, ma è lontana dalla realtà e dal mondo che la circonda. Oggi, per poter scardinare questa realtà, serve un confronto su quello che si sta facendo e che si può fare”.

Questo è il secondo anno in cui la Commissione Europea organizza la “EU Code Week” e le motivazioni che l’hanno portata alla creazione di questo evento si possono reperire negli ultimi studi pubblicati dalla Commissione dove si evince che il 90% delle professioni richiede competenze digitali di base, che il 39% della forza lavoro ha competenze digitali insufficienti e che per il 2020 sono previsti 900.000 posti vacanti nel settore ICT, dove la richiesta di lavoro cresce 7 volte più velocemente che in altri settori tradizionali.

La Commissione vuole intervenire su questo versante attraverso molteplici opportunità di azione e sviluppo, intervenendo, prima di tutto, sulle competenze digitali delle persone di tutte le fasce d’età e professioni: i bambini, gli studenti, le ragazze, gli insegnanti, gli adulti, i genitori, i disoccupati, gli amministratori, i dirigenti, i politici.

Alessandro Bogliolo, ambassador italiano del Code Week, sottolinea questo concetto dicendo “chiamiamo “smart” molti degli oggetti che utilizziamo ogni giorno, primi tra tutti i nostri smartphone. Poi chiamiamo smart le case, le automobili e le città perché sono piene di questi oggetti. Ma a renderli “smart” è la presenza di un microprocessore in grado di eseguire istruzioni e di comunicare via Internet. Senza istruzioni gli oggetti smart non farebbero nulla, ma per dare loro istruzioni occorre saper programmare. La programmazione e’ il linguaggio delle cose. Programmare gli oggetti che ci circondano e’ il modo piu’ rapido, economico e efficace per realizzare le nostre idee. CodeWeekEU 2014 offre a tutti l’opportunità di iniziare a programmare con strumenti e metodi divertenti ed intuitivi. Non perdete questa occasione, per il vostro futuro e per la competitività del nostro Paese”.

Alessandro Ligas


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :