E' sfuggito come spesso accade con le parole, forse perché nella scuola è rimasto ben poco, ormai stretta d'assedio tra un patto di stabilità e una spending review. I denari sono finiti, anche chi aveva parsimoniosamente messo via qualche spicciolo o investito su qualche progetto regionale ha visto consumare gli ultimi euro. Eppure non è nemmeno l'acquisto del materiale necessario al funzionamento, per quanto sia urgente, il problema vero che ci porteremo dietro anche nel 2013, non è nemmeno la didattica digitale, comoda copertura mediatica per non affrontare i problemi veri della scuola, i problemi reali sono altri e molto più urgenti. Tra i primi la fatiscenza delle scuole che è la vera cartina di tornasole di una realtà diventata fatiscente e vetusta, nonostante i tablet, in molti altri aspetti. Non ovunque e non per tutti gli ordini di scuola, ovviamente.
Come ribadisco da anni, una realtà che si salva spesso a opera di docenti che si stanno aggrappando con unghe e denti alla didattica, che silenziosamente, tablet o non tablet, lim o non lim, continuano imperterriti a fare il loro lavoro, innovando, lontano dalle polemiche e dai clamori. Tutta roba che non fa notizia, ma che consente a tantissimi studenti di fare percorsi normali e proficui. Stiamo finendo con il credere che innovare equivalga a utilizzare la tecnologia, lo abbiamo creduto in questi anni, stupidamente e ciecamente. Sono cinque anni che lavoro senza internet, qualche computer sufficiente a parlare di tecnologia, spiegare cos'è, come si usa, quali punti di forza e quali insidie cela, e una lim a sbalzi. Ciò non significa che non abbiamo potuto lavorare, anzi.
E non faccio bilanci sulla classe finché non li vedrò andare alle superiori e poi all'università e poi ancora oltre per capire se ho lavorato bene o male, neppure sulla base del fatto che si affermeranno nella vita, ma sulla base di quanti di loro manterranno un progetto, se avranno cura di loro stessi, così come credo di aver spiegato loro (insegnato non lo so mi sembra una parola forte, rispetto alle scelte della vita), non ne sarò direttamente responsabile, perché la scuola non agisce mai da sola e neppure lo ha il potere di cambiare la visione del mondo di alcune famiglie, e non è neppure il suo ruolo a dire il vero, ma so che porta un peso e una responsabilità.
Tre sono le cose essenziali, senza le quali la scuola è destinata a morire: sicurezza, didattica e reclutamento.
Sicurezza: Se non si interverrà in maniera capillare gli incidenti nelle scuole dovuti a cattiva manuntenzione saranno destinati ad aumentare in maniera esponenziale. Caduta di intonaci, ruggine passante nelle strutture, acqua dai tetti, infissi inadeguati, impianti elettrici vetusti e lo stato degli arredi, sono solo alcuni degli aspetti che persino l'occhio non educato coglie al volo. L'introduzione dei tablet e lo stato di totale abbandono in cui vengono lasciati i locali non sono solo frutto di una scelta economica, ma di una scelta di campo, politicamente nessuno intende investire sul futuro della scuola, l'idea che la scuola così com'è debba concludersi a breve, si è insinuata in modo strisciante, ed è ormai parte del corposo bagaglio di idee che la riguardano.
Didattica: Superare l'idea farlocca che si possa innovare solo con le tecnologie di ultimissima generazione, significa superare il pericolo d'identificare l'apprendimento come un fatto meccanico e ridurre gli stessi contenuti a nozioni. Stiamo tornando a una scuola nozionistica e svuotata di ogni implicazione semantica, perché per connotare di significato occorre un coinvolgimento che nessuno è più disposto a dare. Il problema è il "prendere in carico", perché per farlo occorre assumersi anche una parte di responsabilità diretta. Un falso problema perché anche della presa in carico si ha responsabilità parziale rispetto all'affermazione degli studenti, che avviene per una serie di motivi articolati, dei quali la scuola è solo uno, il peso della famiglia, rimane a mio avviso dominante. E finché si continuerà a parlare della scuola nei termini attuali, nessuna famiglia sarà ancora disposta a credere che essa possa funzionare. Siamo in un vicolo cieco.
Reclutamento: Sono consapevole, dirò cose spiacevoli, chiedo perdono in anticipo, ma moltissimi, troppi di coloro che aspirano oggi a entrare nella scuola non dovrebbero farlo, l'ho già scritto. Per evitare ciò occorre un sistema di reclutamento che rovesci i requisiti per cui si possa accedere all'insegnamento. Nessuno è valutabile se non è posto di fronte all'atto pratico dell'insegnare, dello sperimentare situazioni reali e fornire risposte altrettanto reali a situazioni concrete, si chiamano studi di caso, sono procedure lunghe ma le sole che consentono di capire se una persona può lavorare o no nella scuola. Non escluderei da questo nemmeno il personale ausiliario, altro punto dolente di cui si parla nulla.
Continuare a sentir parlare aspiranti insegnanti che intendono il nostro lavoro come una missione, non rassicura per nulla, anzi è defnitivamente preoccupante.
Questo è prioritariamente un lavoro, serve come gli altri a sostentarsi nella vita, al pari degli altri vanno chieste condizioni adeguate per svolgerlo e competenza. Se non si conosce come interagire con gli studenti, come aiutarli a tracciare la loro strada, se non si conosce come recuperarli allo studio o non si ha la volontà di farlo, se non si conoscono le tecniche per farli apprendere nei modi diversificati che la didattica consente, è meglio lasciar perdere.
La prima frase sbagliata è sempre la stessa: non posso insegnare perché non ho gli strumenti: invece per insegnare bastano poche semplici cose, oltreché dei locali sicuri e adeguati, che sono prioritari rispetto al resto. Ben vengano, certo, tutte le altre tecnologie che sono comunque un diritto, in quanto sono parte del sistema attuale di conoscenza, ma se non sono supportate dall'atto di credere che quello studente imparerà da noi, dalla volontà di insegnargli qualcosa, non servono a nulla.
Buon Anno cari lettori,
che la passione e l'ostinazione siano con voi, e non la missione, in questo duro 2013 che ci attende.
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