Scuola italiana: di chi la colpa?

Creato il 09 marzo 2014 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

Scuola italiana: personale carente e insoddisfatto, scelte economiche sbagliate, effetto domino sul futuro dei giovani

Con il governo Renzi la scuola sembra tornata finalmente al centro dell’attenzione da parte della politica. Inutile ribadire il malcontento generale per i provvedimenti degli ex ministri come Fioroni, Gelmini e Profumo. Tuttavia, si ha la certezza che l’ago della bilancia penda solo da una parte? Indubbiamente, i ministri dell’istruzione non hanno fatto altro che cambiare leggi e regolamenti senza ottenere alcun effetto produttivo sulla scuola italiana. Anzi, la privatizzazione delle scuole e delle università, promossa soprattutto dal governo Berlusconi, si sta diramando insidiosamente. Insomma, il ritorno brutale ai vecchi tempi, o addirittura alla dura fase del dopoguerra, implica anche questo, l’istruzione non è più un diritto per tutti, ma un privilegio per pochi benestanti.

In realtà, prima di trarre conclusioni affrettate bisogna effettuare un’analisi approfondita su un piano diacronico oltre che sincronico. La generazione di insegnanti e di personale ATA che si accinge ad andare in pensione sembra non essere più memore dei grossi vantaggi che ha usufruito negli anni del boom economico e negli ancora floridi anni ’80. Questa generazione, infatti, è quella che oggi esprime una fortissima insoddisfazione per la propria professione e che, proprio per questa ragione, a volte non si impegna con costanza nelle proprie mansioni.

Naturalmente è  sempre sbagliato generalizzare, ma sono noti a tutti certi “vizietti” dell’amministrazione pubblica e del personale scolastico. Cartellini timbrati e poi via di corsa a fare commissioni personali, falsi certificati medici per potersi godere vacanze e settimana bianca, gite scolastiche a cui partecipavano gratuitamente anche parenti di presidi, docenti e così via. Insomma, qualche spreco economico in fondo c’è stato davvero, non si può negare. Oggi questa generazione si lamenta di un lavoro troppo oneroso e stressante, ma non riflette minimamente sul fatto che siano in servizio fondamentalmente soltanto per mezza giornata, pur ottenendo una retribuzione da contratto full time. Non pensano che i loro stessi coetanei in fabbrica, nei campi, su ponteggi e impalcature edili svolgono lavori ben più gravosi e pericolosi per più ore al giorno. Certo, i titoli di studio e la carriera scolastica servono proprio per differenziare le professioni e le varie competenze, ma oggi ciò che si rimprovera al personale della scuola è principalmente il suo atteggiamento verso i nuovi giovani precari.

Ci giungono testimonianze che ci rivelano tensioni tra i docenti stessi con ripercussioni sull’insegnamento, oppure nuovi collaboratori scolastici di terza fascia (appartenenti alla graduatoria più recente), volenterosi e grati di poter svolgere qualche saltuaria supplenza da precari, che vengono bistrattati e sfruttati dai colleghi con maggiore esperienza. Si avverte una sorta di ingiustificata competitività da parte delle vecchie guardie, come se il nuovo arrivato da un momento all’altro potesse sottrarre loro l’ambito “posto fisso”. Non comprendono, invece, la grande chance che si concretizza per entrambe le parti. Il “vecchio” insegnante, finalmente, può ricevere una collaborazione da parte di un giovane pieno di energia ed entusiasta della sua prima opportunità di lavoro e questi, a sua volta, può davvero captare molti consigli e suggerimenti dall’altro. Ciò che si registra, invece, purtroppo è una situazione di “homo homini lupus” dove vige la lotta per la sopravvivenza. L’obiettivo dell’ingrato docente  o collaboratore consiste, così, nell’assegnare tutte le mansioni possibili al nuovo assunto, con una specie di nonnismo celato. Il risultato sarà quello desiderato, il nuovo impiegato si sentirà frustrato e inadeguato e non riuscirà mai a ottenere la stima e la solidarietà dei colleghi. Inoltre, se dovesse supplire una seconda volta, si ritroverà nella stessa situazione di imbarazzo e di impreparazione.

Ecco come si formano tanti assunti insoddisfatti del proprio impiego che, per di più, in caso di assunzione a tempo indeterminato ripagheranno probabilmente con la stessa moneta le nuove generazioni. Si parla certamente di alcuni casi e non della totalità del personale, ma questi si stanno consolidando in percentuali rilevanti da non sottovalutare. Numerose ricerche hanno dimostrato anche scientificamente che la sensazione di realizzazione professionale da parte del lavoratore aumenta il suo rendimento e la sua inventiva.

Certamente, le scelte dei governi in  questo ambito non ha fatto atro che peggiorare una situazione già logora da tempo. Infatti, i tagli alla spesa hanno eliminato dalle scuole, quasi totalmente, i servizi offerti dalle imprese di pulizie o dai cuochi delle mense che, una volta, aiutavano anche a servire i pasti. Dunque, un personale sempre più sfoltito deve svolgere una moltitudine di mansioni, generando attriti e prevaricazioni al loro interno. Anche le ripercussioni sugli insegnanti non sono da meno. Ormai il docente italiano deve provvedere a proprie spese a fotocopie e materiale didattico e i genitori devono contribuire economicamente persino per la carta igienica che scarseggia! In più, quasi tutte le nuove generazioni di insegnanti italiani, rigorosamente precari, anche durante lo stesso anno scolastico, devono sposarsi tra più sedi per svolgere tutte le loro ore di servizio.

In conclusione, un effetto domino che rischia di scaraventarsi sull’insegnamento stesso e quindi sugli allievi che, già degradati da un sistema sociale consumista e capitalista, si vedono depauperati anche di quella risorsa immensa che è la cultura e la scuola. E, a loro volta, ammesso che intendano intraprendere la sempre più impervia strada universitaria, dovranno accontentarsi di svolgere mansioni come quella di “bidello precario”. Ecco che saranno due volte vittima di uno stesso sistema scombinato e inaccettabile. Persino gli studenti Erasmus sottolineano una palese disorganizzazione amministrativa nelle università italiane che, non a caso, sono tra le ultime nelle classifiche europee.

Se è vero che la politica attuale è il riflesso dei vizi e del degrado della nostra stessa società, non sarà anche legittimo ammettere che la solidarietà e la coalizione dovrebbe partire dal basso? Cattiva politica e pessimo personale scolastico sono due facce di una stessa medaglia. Che si limitino almeno i danni di questo sistema catastrofico e al più presto.

Nel frattempo generazioni di studenti stanno calpestando il proprio futuro, anche inconsapevolmente. Pure in questo caso, fortunatamente, non siamo tutti uguali, ma siamo rovinosamente tutti vinti. Lo studente in mancanza di stimoli culturali tenderà a sopravvivere nella sua dolce ignoranza e non potrà essere nobilitato dal lavoro ma, da parassita, graverà sul sistema economico stesso. Lo studente “acculturato“, invece, sarà deluso di tutte le sue aspettative dopo aver investito soldi sul suo agognato futuro. La colpa non pende solo da una parte, la colpa è collettiva, è pure degli elettori. È soprattutto di una generazione politica e sociale che, anni addietro, ha fatto scelte economiche e sociali sbagliate consegnandoci un futuro che non c’è.




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