Scuole di scrittura: 2) Quello che è buona norma tacere

Creato il 22 agosto 2011 da Sulromanzo

Questa è una lettera per te, Mister $.

A tutti gli altri, per favore, una supplica: chiudete il link, passate al successivo e concedeteci un po’ di privacy.

Non ti sto scrivendo, caro Mister $, per ribadire quanto ti senti ripetere ormai da anni. Non ti sto scrivendo per magnificare il tuo incanto di moderno vate, quello per cui qualsiasi cosa scriva o pensi acquisisce essenza di un messaggio che ineluttabilmente ci travolge e disorienta come solo le grandi verità sanno fare.

E non ti sto scrivendo neppure per esaltare il tuo fascino voluttuoso di nuovo re Mida, in grado di tramutare una semplice giornata con altri scrittori colleghi, scorsa a discutere di libri e letteratura, in una nemmeno così scontata miniera d’oro, all’interno della quale si finisce senza scampo a parlare di te e della tua scuola e che si conclude manco a dirlo con una festa da mille e una notte dove sei tu, tu solo, e nessun altro, l’unica inimitabile guest star.

Ecco.

Fuochino.

Ci siamo quasi.

Perché nessuno è come te, caro Mister $.

Ancora meglio, è altamente improbabile pensare di diventare un giorno come te. Solo che ci ha solleticato l’idea, a noi che siamo venuti alla tua scuola. E tu, invece di rabbonirci con confortanti promesse che pur sapendo non avresti mai mantenuto ci avrebbero tanto riscaldato il cuore, bene, tu te ne sei uscito il giorno dei diplomi con una frase che suonava pressappoco così:

“…perché vedete ragazzi, mi capita sempre più spesso di incontrare qualcuno dei miei ex studenti dedicarsi ad altro… che so, magari alla ristorazione… neanche li riconosco più e loro invece…” bla bla bla.

Il resto del discorso non conta. Conta la prima parte.

Dedicarsi ad altro?

Ristorazione?

Perdonami l’impertinenza, ma per essere ancora più chiaro a questo punto avresti potuto aggiungere l’ippica e il quadro era completo.

Quelle riportate sopra sono considerazioni che non si possono fare, soprattutto che non puoi fare tu, caro Mister $, né alla festa dei diplomi né prima. A meno che non si parli di un prima talmente remoto, del tipo che durante le operazioni bancarie per il saldo della prima rata salta fuori un tuo videomessaggio recante questo monito che ci blocca psicologicamente dall’andare avanti ma che, per quanto ci stiamo realitizzando, la vedo come un’ipotesi ancora infattibile.

“I ragazzi della mia scuola vengono da tutta Italia. Più sono lontani e più preferisco… voglio dar loro la possibilità di fare nuove esperienze, conoscere persone famose. Voglio che quando usciranno di qui abbiano un bel ricordo per gli anni a venire”.

Tralasciamo il fatto che il saio da buon samaritano ti urtica sulla pelle.

Evitiamo di puntualizzare che per avere la possibilità di fare nuove esperienze si sborsano un mucchio di quattrini.

Il punto è che io, della tua spudorata schiettezza, ne facevo volentieri a meno. Perché dopo diventa tutto regolare, ormai accettato, tollerato, della serie che è normale, insomma sì, diciamo che succede, dopo anni di sforzi e di sogni, di ritrovarsi a fare quello che non avresti mai pensato di poter fare per sbarcare il lunario e ritornare esattamente al punto di partenza come a chiudere un cerchio che non ha avuto nessun seguito nella vita se non quello di lasciar dentro tanti bei ricordi e altrettante amarezze.

A volte invece è buona norma usare un pochino di delicatezza nel gestire le aspettative e le speranze altrui.

“Ebbene sì, il mestiere di scrittore non è come lavorare in miniera ma quasi”.

Come a dire, okay ragazzi, anche se farete tutt’altro forse è meglio così.

Non lamentatevi se usciti da qui non troverete uno straccio di lavoro.

Poteva andarvi peggio.

Lo dico per l’ultima volta, sono parole che non voglio più sentire. Primo, perché se non l’avessi ancora capito, caro Mister $, la prossima volta non mi trattengo più dal lanciarti una bella scarica di pomodori in faccia e, secondo, perché a dispetto di tutto il resto nei sogni si può ancora provare qualcosa di simile al soddisfacimento, e non sarai di certo tu, col tuo sfrontato disincanto, a togliermi questo piacere.

(Per chi si è perso la prima parte eccola)

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