- Maya beata.
Quando avrai pensato quanto sia rara la franchezza e quanto sconosciuta l’innocenza e come la lealtà non si trovi se non quando conviene, e vengono in mente la massa di tanti crimini felici e guadagni e perdite derivanti dal piacere parimenti insopportabili, e l’ambizione che ormai fino a tal punto non si contiene nei suoi limiti che splende attraverso la vergogna, l’animo è spinto nella notte e come fossero stati sconvolti i valori, che né è lecito sperare né conviene avere, spuntano le tenebre. A questo dunque dobbiamo rivolgerci, e che tutti i vizi della gente ci sembrino non odiosi ma ridicoli ed ad imitare piuttosto Democrito che Eraclito. Costui infatti, ogni volta che era stato in pubblico piangeva, quello invece rideva, a costui tutto ciò che facciamo sembravano disgrazie, a quello sciocchezze. Occorre dunque saper sdrammatizzare ogni cosa e sopportarla con animo indulgente: è più degno di un uomo ridere della vita che piangerne. Aggiungi che acquista meriti maggiori per il genere umano chi ride piuttosto che chi piange: quello lascia ad esso una qualche speranza, costui invece piange stoltamente delle cose che dispera possano essere corrette; e per chi contempla le cose nel loro insieme è di animo più forte chi non trattiene il riso di chi non trattiene le lacrime, dal momento che suscita un’emozione piacevolissima e in mezzo a tanto apparato non ritiene nulla grande, nulla serio, nemmeno misero. Ciascuno si ponga davanti agli occhi ad una ad una le cose per le quali siamo lieti e tristi e saprà che è vero ciò che disse Bione, che tutte le cose che riguardano gli uomini sono del tutto simili agli inizi e che la loro vita non è più sacra o seria del loro concepimento, e che nati dal nulla sono ricondotti al nulla. (Meditando sulla tranquillità dell’animo di Lucio Annèo Seneca).
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C A R I T A’ F R A T E R N A
Un gran Signor, di cui non so il casato,
A sé fatto venire un dipintore,
Disse che in certa sala avria bramato
Simbolo nuovo di fraterno amore.
Il pover’uom, che si trovò impacciato,
Pinse due somarelli di bon core,
Che, alle reni dell’un l’altro appoggiato,
Grattavansi a vicenda il pizzicore.
Io non avrei dipinto, in quella scena,
Per far cosa che fosse a ognun piaciuta,
Due somari che grattansi la schiena,
Ma un’altra carità men conosciuta:
Due poeti che fanno all’altalena
Per lodarsi l’un l’altro a muta a muta.
-Teresa Albarelli Verdoni-