Giorni di stanchezze individuali e specifiche, settimane di insofferenze reciproche e non-comunicazione, infine mesi di semi-indifferenza e vite parallele o solo momentaneamente tangenziali, istanti troppo brevi per essere significativi, come due spettri confinati in due dimensioni vicine eppure non interferenti, sprofondati ognuno nelle sue occupazioni anche nei residui momenti di relax, ovvero, la sera, dopo cena.
Lui con la testa nella tv, e il cuore sempre lontano, tra le bombe e le notizie che non arrivano o arrivano troppo tardi; io concentrata sul quotidiano, sugli irrilevanti, privati eventi del mio piccolo universo, alieno dalla realtà geopolitica, forse un rifiuto, una volontà di affermare che in fondo anche questa mia è vita, che non si può vivere l'assenza più della presenza, la lontananza più della vicinanza. Che ci siamo anche noi due, io e lei, e siamo qui, e aspettiamo.
Stanca, più che insensibile, isolata dall'incomprensione altrui, dal sentirmi ripetere che "Eh, però anche tu devi capire..." da chi probabilmente non ha capito nemmeno la metà; e io che la vivo ogni giorno attraverso lui e sulla mia pelle, di certo lo capisco meglio di chiunque altro che una guerra che si trascina ormai da mesi interminabili riesce a sfibrare e a logorare persino chi non ci si trova dentro fisicamente, ché la sua testa si è trasferita lì in modo permanente, con sporadici ritorni sulla terra, e questo a lungo andare ci allontana, ci allontana... e che a volte mi sento così stanca di sentirmela addosso che quasi quasi me ne andrei, come quando girai da sola l'Andalucìa, solo io e la mia tracolla, "Una ragazza? Da sola? Ma è rischioso!" "Tua nonna è rischiosa!" ho risposto alla mia povera, mentalmente limitata collega. Che mi sento imprigionata e senza via di fuga, e avrei proprio voglia e bisogno di vedere orizzonti illimitati avanti a me. Ma ora non potrei, no. C'è lei, che ha bisogno di me, e anche lui. E' questa è una delle poche certezze che io abbia acquisito finora. Quella di essere necessaria.
Arroccata sulle mie posizioni sbagliate, a tratti più morbida, a tratti più scostante, rassegnata al mio ruolo di massaia, ritrovo in me soffocati livori e attese di riscatto e affermazione personale, quando avrò sistemato qualche faccenda, aspetta un po' e vedrai, e non so neanche più con chi ce l'ho, se con lui o con me stessa. Più probabile la seconda. Ma intanto è più comodo avere qualcuno a tiro di schioppo.
Finché poi arrivano giorni che ti lasci andare di nuovo alla leggerezza, a lasciarti prendere di sorpresa dal lato assurdamente comico di certe situazioni, e ti scopri a ridere di te, di noi, di una vita imperfetta, ma in fondo la nostra, che se ti lasci andare più spesso, senza rimuginare troppo su gesti e frasi stizzite, sicuramente vivresti meglio, e chi ce lo fa fare di arroccarci così sulle nostre posizioni. tanto vale lasciarsi vivere e prenderla come viene.
Lo vedo armeggiare scocciatissimo con il contenitore delle posate, incastrato sul ripiano del lavello tra una piramide di piatti lasciati a sgocciolare in verticale e il residuo bellico dei nostri bicchieri scampati al rovinoso crollo del ripiano pensile di mesi e mesi fa, tutti sbreccati e incrinati, chi più chi meno, artisticamente compositi, pezzi unici di set ormai non più tali. Ricomprarli no, non ci è ancora venuto in mente, anche se abbiamo ricevuto qualche gentile donazione da amici caritatevoli, ad infoltire la schiera di pezzi scompagnati delle più varie forme e dimensioni.
- Borca troia, cazzo!
- Ottimo, Hasuna: continua così e tua figlia un bel giorno si sveglierà e ti dirà: "Vaffanculo babbo!" al posto di buongiorno.
- Dai non rombere pure te: dove cazzo è finita la forchetta sottile?
Spiegazione di dovere: Hasuna, come tutti noi, ha alcune fissazioni tutte sue riguardo alle stoviglie. La sua forchetta personale è l'unica ad avere i denti stretti, come piace a lui, tutte le altre potrebbero tranquillamente essere usate come cucchiai: hanno denti larghi come paletti di uno steccato. Lui le odia; piuttosto che usarle si riduce a mangiare qualsiasi cosa col suo cucchiaino dal lungo manico.
Naturalmente la forchetta in questione è quella che non si trova mai, che finisce sempre in frigo dentro a una zuppiera di pasta fredda, o cade dietro il lavello, tra il carrello dei canovacci e la spazzatura, o viene prescelta dalla sorte per essere utilizzata come antenna di fortuna della tv o come utensile atto ad aprire un contenitore incastrato e poi rimane abbandonata in giro per casa.
- Forchette di merda! Te lo giuro: quando sarò ricco le butto tutte e le ricompro come dico io! Non vedo l'ora!
Non so se è stato il non-sense dell'affermazione, o la certezza dichiarata circa l'eventualità di essere un giorno "ricco" (eventualità del resto che non costituisce per il beduino oggetto di aspirazione alcuna, tenendo lui il denaro e il benessere in generale in scarsissima considerazione), o il paradossale pensiero che per acquistare un set di posate nuove occorra attendere l'improbabile svolta economica capace di proiettarti in un futuro laminato d'oro, fatto sta che questo è stato il momento dello sciogliersi di tutta la tensione accumulata in risa immotivate e liberatorie.
Perché tutto sommato basta poco per sentirsi ricchi, se tutto ciò che desideriamo è avere sempre a portata di mano la forchetta giusta, quella che corrisponde proprio alla tua idea di forchetta.
Fatto sta che il beduino non ha aspettato di diventare ricco. Una sera lo vedo rincasare con un'aria beata e soddisfatta, proclamando con entusiastica enfasi:
- Indovina cosa ti ho portato?
Come se si trattasse di una cosa che io attendevo da tempo.
E vi assicuro che l'ultima cosa a cui avrei pensato era che da quel sacchetto di plastica tirasse fuori sei, e dico sei, splendide, lucide forchette a denti strettissimi!
Mi è venuto ancora da ridere, ma mantenendomi su un tono semi-serio gli ho chiesto:
- Allora queste altre le buttiamo, Hasuna?
Lui borbotta, remissivo:
- No, lasciale: possono sembre servire se abbiamo osbiti a cena...
Mi viene spontaneo a questo punto chiedermi: qual'è la prima cosa che comprerei, se dovessi a un tratto diventare ricca? Forse un cuscino nuovo; il mio è piatto piatto e sembra quasi non ci sia, e ogni volta che gli cambio la federa inorridisco a vedere gli aloni giallo-marroncini espandersi sulla sua trama come fuochi d'artificio in cielo.
E' molto rassicurante pensare che non servirà aspettare che la ricchezza piova su di me per prendermi le mie rivincite dalla vita, e che in fondo è possibile fare a meno anche di ciò che rimane a portata economica del nostro sguarnito portafoglio, che se un giorno ci venisse tolto anche quel poco che abbiamo, non sarebbe certo la fine del mondo.