Se ci fosse stato LRO…

Creato il 10 febbraio 2011 da Sabrinamasiero

Questa foto dei siti della missione Apollo 14 è stata acquisita da LRO il 25 gennaio di quest’anno. Tra i due punti si notano anche le tracce del passaggio degli astronauti. Credit: NASA/Goddard/Arizona State University.

di Marco Castellani, Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)-Osservatorio Astronomico di Roma

Sappiamo che la missione Apollo 14 fu un pieno successo. Gli astronauti riportarono a casa una serie incredibile di immagini del nostro satellite, ed anche dal punto di vista strettamente scientifico, tutti gli obiettivi prefissati furono rispettati. Tuttavia, per l’equipaggio fu anche l’occasione di un grande disappunto: quello dell’aver perso la possibilità di godere della vista spettacolare che deve esserci al bordo di un cratere largo circa 300 metri!

Se solo avessero potuto avere le mappe ad alta risoluzione del Lunar Reconnaissance Orbiter, probabilmente questo non sarebbe successo. Ma raccontiamo la storia con ordine.

La missione Apollo 14 venne lanciata il 31 gennaio del 1971. La tensione aleggiava palpabile fin dall’inizio; era la missione lunare successiva a quella sfortunata dell’Apollo 13: come sappiamo, era stata annullata a causa dello scoppio di una bombola di ossigeno nell’astronave mentre era in rotta verso la Luna (all’origine della famosa frase “OK, Houston, abbiamo avuto un problema”). Fu già un enorme successo e uno sforzo eroico (epico, nel vero senso della parola) riscire a far tornare sulla Terra l’equipaggio sano e salvo…

La missione Apollo 14 aveva una pesante responsabilità, di cui il team era consapevole. Un altro fallimento avrebbe molto probabilmente comportato la cancellazione dell’intero programma Apollo.

Sebbene nessun evento altrettanto catastrofico (grazie al cielo) abbia funestato la missione, nondimeno il team dell’Apollo 14 si trovò a dover affrontare una serie di situazioni piuttosto difficili, perlopiù legate a problemi di connessione tra la navetta vera e propria, la Kitty Hawk, con il modulo destinato all’allunaggio, detto Antares.

Anche una volta entrati in Antares le (sgradevoli) sorprese non erano affatto terminate: il computer e il radar che avrebbero dovuto guidare l’atterraggio risultarono affetti da diversi problemi. Notevole come anche in queste precarie condizioni di guida, l’equipaggio sia riuscito a far atterrare il modulo ad appena una trentina di metri dal punto previsto: al tempo, l’allunaggio più preciso mai sperimentato da ogni missione Apollo.

Il sito prescelto, che l’equipaggio battezzò Fra Mauro Base, era proprio l’area che avrebbe dovuto esplorare l’Apollo 13: una zona collinosa a circa 300 miglia dal bordo del bacino del Mare Imbrium, formato molti anni prima dall’impatto di un gigantesco asteroide.

Simili crateri sono abbastanza comuni su Mercurio e su Marte, tanto che appare plausibile che l’intero sistema solare abbia sperimentato un periodo caotico di “bombardamento pesante” da parte di enormi asteroidi. Gli scienziati sono molto interessati a datare questo evento, poiché è assai probabile che anche la Terra ne sia stata colpita, tanto da alterare l’evoluzione stessa della vita. Sul nostro pianeta però, tali antichi crateri, sono stati ormai cancellati dei fenomeni di erosione da parte di vento ed acqua, come pure dai lento moti della crosta, indotto dalla tettonica a zolle.

Shepard e Mitchell dunque atterrarono il 5 febbraio, ed effettuarono due passeggiate lunari, tecnicamente chiamate “attività extraveicolari”; una per ogni giorno passato sulla superficie della Luna. Il primo andò esattamente come previsto, con la sistemazione di alcuni strumenti, tra i quali un riflettore laser destinato alla accurata misura della variazione della distanza Terra-Luna, con l’ausilio di un fascio laser sparato dalla Terra.

Durante la seconda “passeggiata”, l’equipaggio sperava però di poter raggiungere il bordo del Cone Crater, un cratere da impatto piuttosto giovane, largo circa 300 metri e distante circa un chilometro e mezzo dal luogo ove Antares aveva messo i suoi piedi.

Va detto che un cratere da impatto riveste un enorme interesse scientifico, perchè vi si trovano esposti, man mano che ci si avvicina al punto dell’impatto, strati provenienti da zone sempre più profonde del terreno, venuti alla luce per il violento impatto con l’asteriode. Avvicinarsi al cratere, insomma, è un pò come scavare in profondità. Con il vantaggio indubitabile di non dover scavare per niente…

Putroppo, il terreno risultò più frastagliato del previsto, e gli astronauti persero presto la vista del bordo del Cone Crater, tra tutte le sagome degli altopiani. Alla fine furono costretti a tornare indietro, per essere sicuri di conservare abbastanza ossigeno ed altri generi necessari, a garantire il sicuro ritorno alla navetta. Al momento, stimarono di essere abbastanza vicini al bordo del cratere perché i frammenti di roccia raccolti fossero significativi. Però si persero la meravigliosa vista dal bordo del cratere stesso.

La cosa sorprendente (averlo saputo…) è che le moderne immagini ottenute con LRO hanno rivelato che in realtà gli astronauti erano arrivati molto vicino, a meno di 30 metri… una distanza davvero risibile, considerando le centinaia di migliaia di chilometri percorsi per arrivare fin lì!

Con i moderni dati a disposizione, probabilmente gli astronauti avrebbero deciso di andare avanti fino al bordo del Cone Crater, senza troppa paura per il ritorno…

NASA Press Release: http://www.nasa.gov/mission_pages/LRO/news/lro-apollo14.html

Marco


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :