Se i partigiani incontrano la magia nasce Evelina e le fate

Creato il 25 maggio 2013 da Gorgibus @chiaragorgibus

Leggendo "Evelina e le fate" di Simona Baldelli non ho potuto fare a meno di chiedermi se anche in casa di Evelina nel giorno dei morti si lasciasse dell'acqua sul tavolo per dare ristoro ai defunti durante il loro passaggio. L'interrogativo è nato da un episodio narrato dall'autrice: la mamma di Evelina è molto malata e sua madre esegue un particolare rito con acqua e olio per accertarsi che il male si sia allontanato. Ho visto fare, e talvolta subito, questo rituale contro il malocchio innumerevoli volte, con una ritualità che si trasmette di madre in figlia e che affonda le sue radici nella metà avellinese delle origini di mia madre. Così, mentre il dialetto di Candelara mi faceva sentire distante dalla storia, i gesti, le usanze, i caratteri mi facevano sentire vicina a Evelina, come quando da bambina la mia nonna materna mi raccontava del periodo della guerra, dei tedeschi, dell'arrivo degli alleati. L'Italia è così, è fatta di piccoli frammenti tutti diversi tra loro, tenuti insieme in modo un po' magico, ma in cui le dominazioni e le migrazioni hanno mischiato un po' le carte, e in cui la campagna è stata un po' tutta uguale.
"Evelina e le fate", lo dice anche il titolo, è una storia un con un tocco di magia, in cui l'elemento fantastico e di folclore ne costituisce parte integrante. La Nera e la Scèpa sono le due fate del titolo, due fate dall'aspetto non disneyano, ma che non si sottraggono alla loro missione di protezione e salvataggio e di cui il lettore non si stanca mai. Evelina nel 1944 ha 5 anni, una bimbetta cresciuta troppo in fretta, ma che mantiene ancora il suo sguardo di verità sulla vita, sulle persone, sulla guerra. Il racconto attraverso i suoi occhi riesce a svelare, con il candore tipico dei bambini, l'orrore e la stupidità della guerra, ma anche quel microcosmo di semplicità di una campagna che non tornerà mai più, in cui i bambini possono prendersi gioco degli sfollati e della loro inettitudine al lavoro, ma allo stesso tempo credere che una principessa possa vivere in una botola.
L'aspetto che mi ha fatto amare il romanzo e che, dal mio punto di vista, lo rende davvero interessante, è lo scontro tra l'animo e la mente di Evelina e la realtà in cui vive, il contrapporsi del desiderio di silenzio dell'alba con il dialetto stretto in cui si esprime, il vedere e credere alle fate e l'orrore di un soldato sbudellato nei boschi, le principesse nascoste e i bombardamenti. Tutto ciò che è magia si contrappone alla morte, alla fame, al dolore, diventa un filtro che permette a Evelina di affrontare e sopravvivere alla guerra, a dare un un senso all'infanzia rubata, a cercare di far compenetrare il proprio mondo di bambina con il mondo degli adulti.
L'autrice sceglie di scrivere i dialoghi in dialetto, così come sono avvenuti, forse creando un ostacolo alla lettura (ma insomma, se Camilleri stravende in tutta Italia, un po' di pesarese che volete che sia!), ma sicuramente restituendo realismo alla storia. I dialoghi non tentennano mai, non sembrano mai posticci o poco plausibili, devono essere stati pronunciati proprio così. Simona Baldelli ha uno stile che ti catapulta nella storia, molto visivo, dinamico, e fantasioso al punto giusto per poter descrivere le immagini viste dagli occhi di una bambina di campagna di cinque anni che vede sbucare un manipolo di sfollati nel suo cortile. In qualche passaggio mi ha ricordato le animazioni dello Studio Ghibli e i suoi bambini, e questo, per me, è un gran complimento.
Dopo la lettura di "Evelina e le fate" resto ferma nella mia convinzione che il Premio Calvino ("Evelina e le fate" è stato finalista nel 2012) abbia resistito al degrado dei premi letterari italiani per continuare a restituire testi di qualità.

Evelina e le fate, di Simona Baldelli

Edito: Giunti Editore (2013) Pagine: 256 ISBN: 978-8809778382 Prezzo di copertina: 12,00€ Ebook: disponibile al prezzo di 4,49€

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