Se i sacrifici non sono per tutti (di Roberto Saviano)

Creato il 08 agosto 2014 da Tafanus

Il gigantesco debito pubblico obbliga da tempo i governi a mettere le mani nelle tasche degli italiani. Ma alcune categorie di parassiti vengono esentate e campano sulle spalle degli altri. Un furto che la politica tollera. In cambio di consenso (di Roberto Saviano - l'Espresso)
Gli ultimi tre anni sono stati segnati dall'azione di governi di emergenza, frutto di compromessi apparentemente necessari ad affrontare una situazione senz'altro straordinaria. Non bisogna essere economisti per comprendere che la questione delle questioni, quella che ogni esecutivo è stato chiamato ad affrontare, è quella del debito pubblico, la zavorra che non consente alcuna crescita economica e che ci condanna a rimanere ai margini della recessione. Aldilà e oltre ogni posizione astorica e naïve, come quelle di chi inneggia al modello argentino come esempio virtuoso.
Chi è stato bambino negli anni '80  forse ricorda quanto si diceva: ogni nuovo nato venendo al mondo aveva già trenta milioni di lire di debito, quale quota procapite del debito nazionale. Prima il governo Monti, poi quello Letta e ora quello Renzi hanno annunciato svolte epocali improntate alla riduzione della spesa pubblica, a una sua revisione o razionalizzazione. Si sono usati questi argomenti per annunciare cambiamenti mai realizzati, o quantomeno mai attuati. Di solito, chi più reclamizza svolte epocali più resta al palo. Nessuno ha la forza politica di intervenire dove sarebbe necessario, poiché nessuno è in grado di assumersi la responsabilità di imporre sacrifici che abbiano un senso: la Politica perde la maiuscola ogni volta che il privilegio viene spacciato per diritto, ogni volta che con la propria insipienza non esita a fare dietrofront davanti a sparuti gruppi di potere, che traggono la loro forza contrattuale dalla incapacità del Governo di assumersi la responsabilità delle scelte. In questo spazio di decisione si inserisce il meccanismo giuridico italiano per antonomasia: la deroga. La regola vale per quasi tutti, ma non per alcuni.

La deroga produce altra deroga e così via, sino a completa soddisfazione, e tradimento, del principio costituzionale di uguaglianza. Ed è così che i toni sparati e trionfali lasciano il posto all'annuncio, a mezza bocca e con piglio grave, dei consueti sacrifici richiesti a tutti, soprattutto a chi produce ricchezza nonostante lo sport nazionale sia disperderla, approfittarne. Perché l'italiano produttivo sa, anche questo sin dalla nascita, che lavora buona parte dell'anno per sostenere tanti sistemi parassitari concentrici, pronti a spartirsi l'infinitesima frazione residua di spesa pubblica. E allora è dalla periferia che bisogna partire, dai rivoli, fino a risalire. Le azioni eclatanti, simboliche, si è capito, non servono a nulla; sono anzi controproducenti. Qualche tempo fa mi sono occupato di uno di questi rivoli, di una delle tante cellule della metastasi italiana: il Consorzio Idrico di Terra di Lavoro (CITL) che dovrebbe gestire le risorse idriche della provincia di Caserta. Un referendum ha sancito che l'acqua deve rimanere un bene comune; si è trattato di una grande vittoria popolare contro quello che da più parti era definito come il tentativo di impossessarsi del bene comune per antonomasia. Purtroppo il nostro è un Paese di bassa qualità sul piano democratico, e dunque può accadere che le grandi mobilitazioni lascino spesso sgombro il terreno, anche dopo una grande vittoria.
Dico queste parole perchè forse quella mobilitazione avrebbe dovuto essere permanente: non basta infatti che l'acqua sia pubblica, è necessario che sia gestita in maniera efficiente. E su questo, il cittadino, ha l'obbligo di vigilare. E invece in molte parti d'Italia, senz'altro a Caserta, i consorzi cui la gestione è demandata, sono pozzi senza fondo della insaziabile fame di genie di parassiti, che crede che l'epoca delle vacche grasse possa durare per sempre. I partiti questo lo accettano poiché sanno bene che le battaglie romane, spesso recite a soggetto, tengono lontana l'attenzione dallo squallore del territorio dove non esitano ad accedere a logiche consociative, alla spasmodica ricerca di posti da occupare e prebende da assicurare ai tanti ladri di futuro delle nuove generazioni. E se davvero si vuol dare un futuro a questo Paese, è dal basso che bisogna partire, dalle migliaia di società partecipate, consorzi ed enti improduttivi che lo hanno ammazzato. Chi ha accettato di farne parte si è assunto responsabilità politiche e personali che hanno condotto alla perdita di ogni dignità. Poiché non c'è dignità nel rubare il futuro a un Paese e chi ne è responsabile non lo sarà mai di meno solo perché crede ci sia uno più responsabile di lui.
Roberto Saviano

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