Il contenzioso tra governo centrale e Provincia sui tagli – che il primo si vede costretto a fare per risanare i conti e contenere la spesa pubblica – presenta un problema culturale, non solo economico. Dal punto di vista della Provincia, i fatti possono essere sinteticamente espressi così: perché dobbiamo “tagliare” anche noi, proprio noi che siamo stati sempre così virtuosi e capaci di contenere i nostri debiti entro limiti oltrepassati invece da altri? A prima vista sembrerebbe un’obiezione più che legittima, salvo nascondere appunto un problema di tipo culturale, sul quale tendiamo superficialmente a sorvolare.
Ogni problema culturale, alla fine, è anche un problema linguistico o d’interpretazione delle parole. In tedesco, per esempio, si usa un unico termine per indicare sia i debiti che le colpe: “Schulden”. Chi fa debiti, dunque, è percepito immediatamente come “colpevole”: la macchia della sua colpa, automatico corollario morale, non può essere lavata da chi non si considera colpevole ma, anzi, pensa di essere particolarmente virtuoso e meritevole semmai di ricevere un premio.
La domanda allora diventa: quale sarebbe il premio più appropriato per gratificare un comportamento talmente probo da risultare esente da debiti e dunque anche da peccati e macchie morali? La risposta, notoriamente, è duplice. Quella più modesta afferma che il riconoscimento del comportamento virtuoso dovrebbe almeno permettere la conservazione dello status quo: che i debiti, insomma, non vengano fatti gravare in modo così ingiusto su chi non li ha commessi (dimenticando peraltro la passata “generosità” romana della quale, anche come autonomie speciali, abbiamo ampiamente beneficiato). Quella più ambiziosa punta invece al completo affrancamento da ogni tipo di legame istituzionale con lo Stato debitore: in tal caso, la questione dei debiti aggiorna l’eterno tema della secessione, creatura onnivora pronta a nutrirsi di tutto quello che può essere ritenuto opportuno ad ingrassarne le pretese.
In realtà – se volessimo davvero equiparare i debiti a delle colpe, leggendo così i termini dell’intricato garbuglio economico-finanziario in cui ci troviamo in chiave morale, e in ultima istanza culturale – dovremmo aver dimostrato già da tempo di poter gestire questa nostra supposta superiorità a tutti i livelli possibili e immaginabili. Sarebbe un evidente peccato di superbia: al riguardo penso possano essere d’accordo anche i più solerti censori della moralità altrui, qui da noi in numero assai cospicuo. Il “peso morale”, insomma, non sarebbe certo meno impegnativo da portare o più facilmente gestibile di un debito.
Corriere dell’Alto Adige, 13 luglio 2012