Se la famiglia diventa il vero killer di Yara

Creato il 18 giugno 2014 da Giulianoguzzo @GiulianoGuzzo

Non è vero che hanno arrestato il presunto assassino di Yara Gambirasio, un colpevole certo già c’è ed è la famiglia. Questo, almeno, ha lasciato intendere l’editorialista de La Stampa Massimo Gramellini che, facendo leva sulle oggettive particolarità di questo caso di cronaca nera (il presunto assassino, sposato e padre tre figli, è nato da una relazione clandestina da parte di un padre di famiglia) ieri, trovandosi forse a corto di argomenti, ha scelto di avventurarsi in una prolissa arringa contro l’istituto familiare. L’importanza di non essere fraintesi né di mettere in bocca altrui pensieri mai espressi impone di riportare integralmente il passaggio di “Bambini vittime dell’orrore di certe famigliole”, l’articolo in cui l’apprezzato giornalista e scrittore ha messo nel mirino la famiglia raffigurandola come una sorta di stanza degli orrori:

«La famiglia: luogo di convivenza forzata, culla e tomba di passioni, ma anche fabbrica di interessi e produttrice inesausta di misteri. Come autore di un romanzo a sfondo familiare mi è capitato di ritrovarmi depositario delle confidenze intime di lettrici e lettori che mi hanno fornito un catalogo impressionante di tutte le meraviglie e gli orrori che la cellula della società umana riesce a produrre: complessi, rancori, scoperte tardive, agnizioni, invidie, gelosie e bugie, tantissime bugie. A fin di bene, a fin di male, a fin di niente. Si vive dentro una bolla di non detti, si accumulano tensioni e illusioni e poi si esplode, per fortuna non sempre con gesti da codice penale, ma in modi comunque feroci che fanno vacillare le certezze. Ad esempio che ci si possa fidare almeno delle persone con cui si condividono le mura di casa».

Ora, dinnanzi ad una così evidente tendenza a generalizzare sarebbe fin troppo facile ribattere ricordando la mole impressionante di letteratura scientifica che da un lato attesta livelli più alti di violenza interpersonale e di omicidi nelle coppie di fatto rispetto alle coppie sposate (e quindi, direbbe Gramellini, in «convivenza forzata»), e che, d’altro lato, spiega come il matrimonio giochi un ruolo tutt’altro che irrilevante nel controllo e nella diminuzione di fenomeni ritenuti socialmente devianti. Sarebbe facile – dicevamo -, ma meglio astenersi, anche perché l’errore di coloro che vedono la famiglia come una inquietante ed oscura «fabbrica di interessi» è più generale e riguarda l’incapacità di distinguere l’istituto familiare in quanto tale, coi suoi innumerevoli profili benefici ed il ruolo insostituibile che riveste, e la famiglia nella quale crescono soggetti devianti.

Si tratta di una differenza fondamentale, come del resto dimostra l’intera letteratura criminologica. A partire dal celebre studio dei coniugi Glueck i quali – focalizzandosi sull’eziologia della delinquenza e monitorando per anni un campione assai vasto, composto da 500 minorenni in istituti di correzione e da altri 500 minorenni non delinquenti simili però per età, facoltà intellettive e classe sociale – arrivarono alla conclusione non banale ma intuibile che, fra i diversi fattori che esercitano un ruolo chiave nella vita dei soggetti devianti, spiccano l’inadeguatezza dei genitori, la poca coesione familiare e gli scarsi o scadenti valori trasmessi (Cfr. Glueck S. – Glueck E. Delinquents and Nondelinquents in Perspective. Harvard University Press, 1968). Tutti elementi che nulla dicono della presunta pericolosità della famiglia ma, semmai, dell’importanza che questa sia stabile e soprattutto guidata da genitori responsabili ed equilibrati.

Diciamo questo – ovviamente – senza alcun riferimento, neppure indiretto, verso quanti risultano a vario titolo coinvolti nella vicenda della povera Yara Gambirasio, ma solo per sottolineare l’inopportunità di associazioni fra questa storia, sulla quale peraltro dev’essere ancora fatta piena luce, e prediche contro la famiglia; prediche legittime, anche se quasi sempre destituite di fondamento. Come se pure l’assenza della famiglia, in aggiunta ai casi di situazioni familiari particolarmente difficili, non giocasse un ruolo chiave nel rischio di condotte criminali, assenza che vale con riferimento alla figura materna (si pensi agli studi di John Bowlby (1907 – 1990)) ed anche, se non di più  – come rilevato dagli stessi Glueck – a quella paterna (Cfr. U.S. Department of Health and Human Services, Washington, DC, 1993; Criminal Justice & Behavior 1978; Vol.14:403-26). Ma cosa importa, ciò che conta è che ogni occasione è buona, ormai, per sparare sulla famiglia.



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