Se la maleducazione diventa una virtù

Creato il 13 ottobre 2011 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Incespico, in fase di rilassamento tardoserale, in un servizio delle Iene, avente per tema i giovani geniali talenti italiani che hanno trovato fortuna all’estero. Mi colpisce il mood delle risposte fornite dai giovani in questione alla reiterata (secondo lo stile del programma) domanda dell’autore del servizio circa la (non) accoglienza che le loro idee avevano trovato in Italia. Mi colpisce perché mi conferma esperienze e sensazioni personali. I ragazzi (sono ventenni, in effetti, e quindi stavolta il termine è appropriato) lanciano sì qualche generico lamento contro il vizio italiano di selezionare in base a conoscenze, amicizie e raccomandazioni, ma soprattutto evidenziano, sovrastando ogni altra considerazione, la sensazione di fastidio con cui i rappresentanti di enti e aziende li hanno ascoltati, con un misto tra la sufficienza e la seccatura per il tempo perso.
È un problema noto: mia impressione è che questo paese sia giunto a un livello tale di sfiducia per cui ogni nuova idea, ogni proposta che richiede uno sforzo mentale, ogni ipotesi di nuovo lavoro (persino quelle con prospettive economicamente interessanti) suscita appunto fastidio, noia, forse persino paura. Resta però anche il fatto che poi, dopo il faticoso e distratto ascolto, subentra sempre il malvezzo di non dare risposta, di svicolare, di tacere, di procrastinare se proprio si è costretti a dare un segno di vita: atteggiamenti che denotano, prima di tutto, una maleducazione ormai entrata a far parte del patrimonio nazionale.
Ho già avuto modo di spiegare, seppure procedendo in senso opposto, come per noi di Autodafé il rispondere e dare ascolto sia un punto di onore. Abbiamo posto qualche paletto, ma alla fine continuiamo a rispondere a tutte le proposte editoriali (troppo spesso anche ad alcune palesemente incongrue), e rispondiamo persino a coloro che ci inviano il curriculum vitae, pur non avendo mai avanzato richieste in tal senso (anzi: evitate di mandarli, perché davvero non cerchiamo, per nessun ruolo, nuove assunzioni o nuove collaborazioni). Alla fine, non rispondiamo solo a proposte commerciali mai sollecitate (il più delle volte, peraltro, del tutto estranee all’ambito editoriale) e agli insistenti inviti di “collegamento” ai network professionali (per favore, non mandateci richieste tramite Linkedin o simili), anche perché spesso si tratta di comunicazioni non personali, indirizzate a pioggia e indiscriminatamente a un tot di aziende, in nulla rivolte a noi in quanto Autodafé. E, mi sia consentito ricordarlo, non rispondiamo a coloro che ci scrivono o ci inviano materiali presso la sede legale, anziché contattarci via email (non fatelo: la sede legale non è un femoposta, e prendiamo in considerazione solo i manoscritti da noi esplicitamente richiesti ad autori che hanno superato il primo vaglio, i contratti e le fatture dei fornitori; il resto viene inesorabilmente cestinato).
Ho lungamente divagato, ma il senso è che continuo a ritenere inaccettabile il silenzio assoluto con cui troppo spesso vengono rimbalzate proposte personalizzate e motivate, rivolte a un interlocutore preciso e plausibile. Una proposta con queste caratteristiche merita, sempre, una risposta chiara: un sì, un no o un “parliamone”. Ma non merita di essere ignorata.
Ciò che ancor più sconcerta, però, è che alcuni di questi sfuggenti interlocutori si trincerano dietro il muro del silenzio quando li si approccia in modo urbano, salvo poi dare segni di vita quando, a una serie di contatti rimasi senza risposta, ci si rivolge loro in forma più seccata e talora persino ultimativa. Ci è capitato, e lo trovo francamente inspiegabile. Perché nel nostro modo di vedere le cose, semmai, si risponde cortesemente a tutti coloro che lo meritano, e se poi qualcuno (o perché non si è meritato una risposta o perché non ne accetta i contenuti) torna a bussare alzando la voce, allora lo si mette a posto con le dovute forme e i dovuti modi (che possono persino, in casi limite, essere un poco sgarbati).
Davvero, fatico sempre più a orizzontarmi in un paese in cui a una domanda civile e pertinente non si risponde (o si replica con infastidita sufficienza), mentre si presta la dovuta attenzione a chi si presenta alzando subito la voce e i toni oltre il logico e il dovuto.
Magari può essere un bel tema per ispirare qualche autore attento alla “realtà sociale dell’Italia contemporanea”. Perché certi vezzi devono pur avere un’origine e una causa.


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