Più di una volta ho ospitato articoli di amici che volevano condividere con me e con tutti voi un proprio pensiero, perciò oggi lascio con molto piacere la parola a Simone Esposito, che ha scritto quest'articolo molto interessante.
Buona lettura!
Sono un fan degli editoriali di Marco Travaglio, quelli vecchio stampo in cui partiva da un tema e, senza guardare in faccia a nessuno, finiva col rinfacciare a chiunque errori, gaffes e crimini vari. Il tipo di editoriale che faceva prima dell’avvento del Movimento 5 Stelle, insomma. Se Travaglio fosse ancora Travaglio, infatti, non perderebbe un solo istante prima di scrivere articoli ed editoriali non “contro” il Movimento ma quantomeno critici di alcuni sui aspetti. Il materiale di certo non gli manca, così come le capacità sono evidenti, ma sembra mancargli quello spirito perennemente critico che sembrava aver ereditato da Montanelli e che ha invece messo da parte per far spazio all’innovazione del Movimento. Niente più sano giornalismo “old school”, ma un nuovo giornalismo 2.0 dell’era di internet: niente domande né critiche se non rivolte ai vecchi partiti, il Movimento è nuovo e va salvaguardato.
Se Travaglio non sostenesse il Movimento ci metterebbe due secondi a guardare la telecamera con il solito sguardo gelido porgendo domande e risposte al vetriolo, si chiederebbe chi o cosa rappresenta Casaleggio, chi ha scelto e scritto il programma, chi ha scelto i criteri di eleggibilità dei candidati, chi ha scelto le modalità di voto delle “parlamentarie”, chi si è fatto garante della correttezza dei risultati, se la possibilità di essere candidati al Parlamento con un centinaio di preferenze non possa essere influenzata da un “voto di scambio” o da conoscenze personali piuttosto che da capacità oggettive. Dopotutto, persone fortemente “social” come quelle di un Movimento nato con e per internet non dovrebbero avere grandi problemi a creare consenso sulla rete.
Se Travaglio non sostenesse il Movimento ricorderebbe a Grillo che non tutti i “vecchi partiti”, quel calderone in cui il comico genovese condensa tutta la storia politica italiana, hanno potuto governare alla stessa maniera: ricorderebbe a Grillo che il PD è un’esperienza relativamente nuova, che il centrosinistra italiano soffre di grande disorganizzazione ma non certo di mancanza di competenza. Sottolineerebbe che il motto “fuori i vecchi partiti, entriamo noi” è alquanto inquietante, specie se tra i nuovi eletti c’è qualcuno convinto che negli Stati Uniti si impiantino di nascosto chip sottocutanei solo perché “c’è scritto in rete”.
Se Travaglio non sostenesse il Movimento troverebbe quantomeno strana se non addirittura inquietante la tendenza di Grillo a parlare per slogan, insulti e battutine, che tutto sembra fuorché “nuovo” linguaggio politico; si chiederebbe perché quello che viene sbandierato come “programma politico” non ha uno straccio di base finanziaria seria, contesterebbe a Grillo la sua insistenza nell’andare in piazza ad urlare numeri inventati e senza senso solo per far credere che le sue promesse siano realisticamente fattibili.
Cito un mio professore, estendendo un concetto che lui ha espresso in un contesto e con finalità diverse: qualcuno dice che uno vale uno, ma non è vero. Noi siamo una comunità, ma non siamo tutti uguali: in ogni comunità esistono delle strutture di potere che determinano la gerarchia interna. Queste possono essere determinate da criteri “giusti”, quali competenza, professionalità, capacità personali, o “ingiusti” come maggior potere economico o mediatico. Ciò non toglie che esistano, e che negarne l’esistenza è stupido così come è inutile tentare di smantellarle: sono parte integrante e fondamentale della società. Una struttura di potere è anche la meritocrazia, colonna portante della “rivolta” 5 Stelle e che molto poco sembra essere stata presente al momento delle candidature.
Di Simone Esposito