Sé modulabile, flessibile, disagio esistenziale
Da Bruno Corino
@CorinoBruno
Sempre più sentiamo parlare di Sé flessibile o di Sé modulabile. Un sé modulabile, in pratica, è un sé che si può comporre e scomporre di moduli diversi a seconda delle diverse circostanze a cui deve adattarsi. Il termine modulo significa “misura”, e di solito indica una unità di grandezza che viene ripetuta più volte; in senso figurato indica un modello, un canone, che può essere ripetuto in maniera da dare proporzioni definite a una costruzione. Riferito al sé, il termine assume un significato specifico, vale a dire qualcosa che possiamo aggiungere o togliere per meglio adattarlo alla situazione richiesta. In pratica, un sé modulabile è un sé costruito su parti interscambiabili che ne consentano la massima personalizzazione. Quindi si tratta di un sé che è possibile rimodulare a seconda delle circostanze in cui si trovi ad operare. In pratica ciò che si richiede al sé è di essere funzionale alla situazione richiesta. I vari modelli che vanno a costruire il sé devono pertanto sempre flessibili, altrimenti una loro eventuale rigidità ne impedisce la funzionalità e, di conseguenza, la capacità di adattamento. Dal momento che la realtà in cui si opera può presentarsi in modo sempre diverso, in quanto costituisce un sistema complesso in cui possono di volta in volta emergere fattori nuovi o imprevisti che ne modificano la costituzione, assumere un modello rigido di interazione può costituire un limite alla sua capacità di adattamento. In altri termini, più una realtà si modifica o si trasforma in continuazione, quindi più una realtà è mobile, maggiore sarà il livello di perturbazione cui sarà soggetto il sé. Ciò spinge i suoi componenti soggettivi a trovare forme nuove di adattabilità. Il che vuol dire che ci sentiamo costantemente inadeguati alla situazione. È come se il nostro sé deve essere costantemente modificato per poter essere funzionale alla situazione. La continua modifica del sé crea una condizione permanente di disagio. Disagio alimentato dalla sensazione netta di non essere mai adeguato (o del tutto funzionale o adattabile) alla situazione che si vive. La possibilità che in ogni realtà (familiare, lavorativa, professionale, ecc.) emergano fattori nuovi e imprevedibili fa sì che tutti i moduli elaborati risultino essere sempre in ritardo o inadeguati rispetto all’evoluzione sociale. La condizione di instabilità e di disagio che molte persone vivono quotidianamente le spinge ad ancorare il proprio sé a delle “visioni del mondo” in grado di offrire certezze indiscutibili. Paradossalmente, la maggiore flessibilità imposta dall’ambiente provoca un irrigidimento e immobilismo sociali. Quanto più le persone vivono questo senso di instabilità o di equilibrio precario tanto più avvertono il bisogno di rinchiudersi in un «recinto securizzato», quale può essere il senso di attaccamento al proprio territorio locale, alle proprie tradizioni, ai propri privilegi, ecc.