LA
STORIA DELLA TARTARUGA
Voglio
raccontarvi una storia.
Di
Anin, una tartaruga che aveva un sogno, voleva arrampicarsi sugli
alberi per conoscere altri mondi.
E per fare questo decise che era
necessario privarsi del suo guscio, il carapace, inutile intralcio al
raggiungimento
del suo obiettivo
Ma
non tutti erano d’accordo.
Anin fu portata davanti al Consiglio
delle Tartarughe per essere processata.
Bata, la Gran Maestra, si
ergeva glaciale davanti a tutte le altre tartarughe, indignata per il
gesto che Anin intendeva compiere.
“Se
ti togli il guscio, non sarai più considerata una tartaruga!”
intimò rabbiosa.
“Può la mia identità” rispose Anin “essere
legata a ciò che possiedo?”
E
inoltre, pensò tra sé, se ciò
che possediamo ci limita
a tal punto da impedirci di raggiungere i nostri sogni, perché
allora continuiamo ad esserne attaccati?
“Tutte
le tartarughe” insistette Bata “hanno il loro guscio. Nascono,
vivono, muoiono, con il loro guscio. Non puoi… fare… ciò che non
è previsto!”
Convinzioni,
rifletté Anin.
Chiuse
gli occhi. Trattenne il respiro.
Si tolse il guscio.
Silenzio.
Sguardi di disapprovazione. Di paura.
“Ebbene,”
disse Bata “hai scelto.
Hai scelto di non essere più una di
noi.
E se sei diversa, sei un pericolo.
Sei pericolosa!”
“Sei
pericolosa!” fece eco una tra il gruppo.
“Sei pericolosa! Sei
pericolosa!”. L’intero Consiglio si unì in coro.
E Anin fu
cacciata dal gruppo.
.
. . .
Ora,
Anin, vive felice sugli alberi; ha scoperto mondi nuovi, ha
conosciuto nuovi amici, che parlano ogni lingua, che le insegnano i
segreti più profondi della vita.Ha
scoperto che non era lei a possedere il guscio, ma era il guscio a
possedere lei.
È
una tartaruga? Non le importa. È Anin.
.
. . .
Molto
più in là, in un giardino recintato, un gruppo di tartarughe nasce,
vive, muore.
“Ne manca una.” dice Joe al suo datore di
lavoro.
“Non importa,” risponde questi “prendi tutte le
altre. L’acqua sta bollendo.”
Accade
che, molto spesso, quando ci poniamo un obiettivo, entrino in gioco
convinzioni limitanti.
Queste funzionano come un’apparente
corazza, che con la scusa di “difenderci dai pericoli” limita i
nostri movimenti e le nostre decisioni.